Le urgenze
della Russia
e le attese
a Occidente

Il 2021 si annuncia un anno difficile e pieno di sfide per la Russia e per il Cremlino. Creare un rapporto costruttivo con l’Amministrazione Biden con l’obiettivo di non lasciare scadere lo Start-3, l’ultimo trattato sul disarmo in vigore tra le due superpotenze della Guerra Fredda in scadenza il 5 febbraio, è urgente e quanto mai necessario per gli equilibri strategici globali. Ugualmente urgente è rilanciare l’economia federale, dopo le difficoltà del 2020, e il brusco ridimensionamento delle entrate delle famiglie in un periodo in cui i prezzi si sono impennati ed il rublo ha perso in pochi mesi quasi il 30% del proprio valore. Il nodo più grosso è, però, quello politico: il 19 settembre si rinnoverà il Parlamento e l’esito della battaglia non è affatto scontato, nonostante il completo controllo dei media e della «macchina» amministrativa da parte del Cremlino. I segnali e le cause per l’inizio di un’ondata di proteste popolari ci sono tutti.

Gli eventi bielorussi anti-Lukashenko e le dimostrazioni a Khabarovsk, nell’Estremo oriente russo, sono stati seguiti con attenzione anche da un’opinione pubblica all’apparenza distratta e dal potere moscovita che ha appena approvato una lunga serie di leggi anti-interferenze, definite al contrario dalle opposizioni «liberticide».

È proprio in quest’ottica interna che va letta la vicenda Navalnyj, il principale avversario del Cremlino, che denuncia da anni corruzione e malefatte. Dopo il suo presunto avvelenamento in Siberia in agosto, certificato da laboratori occidentali, l’avvocato moscovita è ora in cura in Germania e difficilmente, a breve, potrà tornare in Patria, dove rischia il carcere per vecchi e nuovi casi giudiziari, da lui definiti «inventati da Putin».

Così, a meno di colpi di scena, Aleksej Navalnyj sarà costretto adesso a starsene all’estero, chissà preparando - poco prima delle consultazioni settembrine - il suo ritorno in modo da sparigliare le carte. Sempre che la situazione glielo permetta.

Un arrivo «detonatore», come quello nell’aprile 1917 di Vladimir Lenin, che fece saltare il sistema zarista, predice il politologo Abbas Galljamov. Al momento lo scontro Putin – Navalnyj pare destinato a seguire quello cinquecentesco tra Ivan il terribile ed il principe Kurbskij, fuggito nel granducato di Polonia-Lituania, che si scambiarono un’incredibile corrispondenza. Ma al tempo di Internet e dei social media la distanza non è un problema.

Ecco perché scandali e rivelazioni sono all’orizzonte. Il Cremlino ha già messo le mani avanti, affermando: l’accusa di Navalnyj, secondo cui dietro al suo avvelenamento si nasconde l’intelligence di Mosca, è una «legalizzazione di materiale dei Servizi americani».

Tale messaggio è da leggersi soprattutto per l’auditorio interno: occhio - questo il senso – che l’oppositore è al soldo degli stranieri, un’antica accusa che funziona sempre da secoli sulle masse in Russia. In uno scenario così teso, in teoria, sono i comunisti e gli ultranazionalisti, che potrebbero approfittarne, come a Khabarovsk in estate.

Ma altri scenari sono possibili. Isolamento internazionale, difficoltà economiche e scontro politico sono da sempre una miscela pericolosa, foriera di guai, per la Russia. Di certo questa non è una bella situazione per l’Occidente, bisognoso di stabilità ad Est, per il proprio rilancio post-virus nel 2021. Sugli eventi russi molto peserà la posizione del neopresidente Usa Biden, che non ha mai legato in passato con Putin. Il capo del Cremlino non si fida e ha anticipato le mosse: appunto, le leggi anti-interferenze esterne.

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