Letizia, la risposta
della valle al dolore

Una caduta violenta dai gradini dell’autobus, dopo aver subìto una strattonata. Un viaggio finito in tragedia: accadde due anni fa, Letizia Milesi aveva 17 anni. La diagnosi da resa: empiplegia destra ed altri traumi neurologici. Da allora questa ragazza che ama la musica e la danza è su una carrozzella. Ma altro che resa: appartiene a una famiglia unita e forte, abitano a Roncobello. Dopo lo choc della diagnosi, un altro viaggio, altri viaggi: con la mamma Monica percorrono migliaia di chilometri tra un centro di cura e l’altro alla ricerca della terapia giusta.

Fino a un controllo a Milano e all’incontro con un medico che propone di consultare un neurochirurgo statunitense. Quindi i contatti oltre Oceano e a fine agosto la risposta tanto agognata: a Sant’Antonio, in Texas, è pronta l’équipe per operare Letizia alle prime due vertebre della colonna. Un altro viaggio, con la speranza della guarigione: da ieri la ragazza e la mamma sono negli Stati Uniti.

Ma in questi due anni è successo molto altro. I costi dell’operazione (non coperti dal sistema sanitario americano), dell’alloggio e del viaggio sono a carico della famiglia Milesi. Serve una grande cifra. Monica decide allora, insieme ai familiari, di dar vita ad un’associazione, «Sulle ali di un sogno onlus», che ha la generosità di andare oltre le necessità della figlia, ma di sostenere la ricerca sui traumi vertebrali e midollari, di educare ad una cittadinanza attiva in aiuto soprattutto di chi ogni giorno deve fare i conti con barriere architettoniche e mentali, di sensibilizzare alla solidarietà in ogni sua forma.

Nasce anche un hastag (#nonsimollauncactus) che circola sui social ed è la dimostrazione di come Facebook possa essere utilizzato in modo utile e intelligente. L’associazione, presieduta da Letizia e di cui la sorella Francesca è socio fondatore, entra a far parte delle 3 mila sancite sul nostro territorio dall’Istat, per un totale di 100 mila volontari. Lo sappiamo, la nostra terra non si tira mai indietro quando c’è un’emergenza e ogni ambito (dal sanitario alla cultura) è coperto da enti non profit che rispondono a tante richieste altrimenti inevase.

Ma nel caso di Letizia è un’intera valle a mobilitarsi. Molti sentono quella ragazza come loro figlia. In questi due anni sono state organizzate serate musicali e camminate, incontri sportivi e cene, iniziative nelle scuole e vendite di magliette e dolci, anche formaggi d’autore all’asta. A dare una mano non sono state solo persone che già praticano volontariato.

Questa vicenda, tragica nella sua origine, ha però anche una funzione pedagogica: toccati dalla tragedia che ha colpito una ragazza e la sua famiglia, si è usciti dal perimetro individuale del proprio privato, ci si è messi in gioco in una dimensione sociale e collettiva. La Valle Brembana (ma le iniziative sono uscite anche dai suoi confini: le magliette della partita di calcio Monza-AlbinoLeffe, campionato di Serie C, andranno all’asta per Letizia e gli ultrà brianzoli hanno organizzato una raccolta fondi) ha mostrato il suo volto di comunità, ricco di persone e gruppi che si danno da fare e quando lo fanno insieme raggiungono anche gli obiettivi più difficili.

Spesso quest’area della Bergamasca è vista con l’occhiale di un pregiudizio esagerato: chiusa e decadente. I problemi non mancano, dal calo della popolazione più marcato che altrove al destino incerto degli impianti sciistici dell’alta Valle.

Ma ci sono anche energie pronte a raccogliere le sfide, a fare comunità. Come è scritto nella homepage del sito dell’associazione «Sulle ali di un sogno»: «Succedono cose che parlano forte, parlano chiaro, non ammettono scuse… ma noi siamo più forti».

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