L’ingenuità di Salvini
e l’astuzia di Renzi

Entrambi abili comunicatori; entrambi eccessivi e impulsivi a causa di una straripante ansia di protagonismo; entrambi capaci di raggiungere grandi consensi in tempi brevi grazie a indubbie doti carismatiche e camaleontiche. Qui, però, terminano i tratti convergenti dei due più famosi Mattei nazionalpopolari, che sul piano politico hanno quasi sempre intrapreso strade ideologiche e fattuali antitetiche. Salvini si è ancorato a idee «sovraniste e di estrema destra», estranee alle tradizioni più originarie della Lega.

Renzi si è spostato su posizioni «liberal democratiche» che hanno reso problematica la propria posizione all’interno del caleidoscopico Partito democratico. In comune ci sono anche alcuni poderosi errori di valutazione. Renzi, grazie a una positiva esperienza di governo, aveva raggiunto un ampio consenso tanto da tentare una riforma costituzionale, tramite un accordo parlamentare con Silvio Berlusconi. Venuto meno tale accordo, ha pensato di ricorrere al referendum popolare. In un primo momento i sondaggisti erano concordi nel ritenere assai probabile l’approvazione del progetto. Sulla base di queste previsioni Renzi ha ritenuto che fosse conveniente «personalizzare» la battaglia referendaria per rafforzare la propria posizione politica. Si è posto, così, «solo contro tutti», con la conseguenza che il naufragio della riforma ha compromesso nel breve la sua leadership politico-istituzionale, nonostante l’apprezzabile consenso personale raggiunto, avendo ricevuto il 40% dei voti.

Anche l’altro Matteo si è reso di recente protagonista di un errore tale da evidenziare una «ingenuità» di certo non compatibile con le qualità di un vero statista. Dopo aver raggiunto nelle elezioni europee un grande consenso (34%), Salvini ha dato vita a ripetuti scontri con il M5s, accusandolo di immobilismo. Per superare questa condizione e per placare il malcelato desiderio di ottenere «pieni poteri», ha deciso di porre in crisi il governo e ha richiesto il ricorso anticipato alle urne, ignorando in modo inspiegabile le prerogative del Capo dello Stato. Quest’ultimo ha, infatti, il dovere di perseguire il rispetto della Costituzione, la quale prevede elezioni ogni cinque anni e la possibilità che queste siano convocate anticipatamente solo se in ambito parlamentare non risulti possibile costituire maggioranze di governo. Oggi, Salvini conduce una strenua opposizione al governo, sperando in un successo nelle elezioni regionali dei prossimi mesi.

Una strana coincidenza, però, ha fatto sì che la sua sconfitta politica sia stata determinata dall’astuzia di Renzi, che ha deciso di appoggiare un governo tra Pd e M5s, nonostante in passato avesse più volte escluso tale eventualità. Questa posizione è stata condivisa dal Pd per la necessità di Zingaretti di tenere unite le varie correnti del partito. Costituito il governo, Matteo Renzi, forte della presenza in Parlamento di molti suoi sostenitori, ha pensato bene di creare un proprio movimento - «Italia viva» - con il quale si accinge a ricostruirsi un’immagine attrattiva e proporre nuove idee più al passo con i tempi, in grado di restituirgli consensi elettorali. Con questo folgorante coup de théâtre, da autentico «cavallo di razza della politica», Renzi, pur molto più debole sul piano elettorale (5%) rispetto a Salvini (34%), si è ritagliato un’efficacissima posizione che lo porta ad essere l’ago della bilancia dell’attuale governo. In occasione di una recente intervista televisiva da Bruno Vespa si è detto pronto a un confronto-scontro con Salvini. Quest’ultimo, com’era prevedibile, ha dato il proprio assenso. C’è da aspettarsi dunque a breve un «Duello rusticano» da indici di ascolto record. E chissà che questo non rappresenti solo l’inizio di una lunga sfida.

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