Litigi e nomine
nel Governo

L’ultimo Consiglio dei ministri prima delle elezioni del fine settimana è servito sostanzialmente ad una cosa: a piantare due ulteriori bandierine utili in campagna elettorale sia a Salvini che a Di Maio. Da una parte il decreto Sicurezza bis, dall’altra il testo sugli aiuti alle famiglie per il sostegno alla natalità. In realtà ieri sera, quando si è tenuta la seconda tranche della riunione del Consiglio dei Ministri (bizzarra novità introdotta dal governo Conte, un po’ come l’ordine del giorno senza punti e solo con «varie ed eventuali») si trattava formalmente di un «inizio esame».

E questo per la ragione che l’accordo non c’è. Questo ha però consentito ad entrambi i leader di poter sbandierare, appunto, da una parte la volontà di avere la mano ancora più dura sull’immigrazione, dall’altra il perseguimento di una politica per la famiglia. Niente di più. Le stesse fonti di Palazzo Chigi hanno fatto sapere ufficiosamente che i testi sono ancora incompleti e che comunque sono stati mandati al Quirinale per una prima ricognizione. Pare tra l’altro che Mattarella abbia più di un dubbio sulla linea sicurezza con cui Matteo Salvini punta ad avere il pieno controllo della situazione-sbarchi. Forse sarà anche per questo che la tanto criticata norma che stabiliva una multa di alcune migliaia di euro per ogni profugo salvato senza autorizzazione, è stata nel testo preliminare sostituita da una salatissima sanzione a carico del comandante della nave fuori delle regole.

Inoltre Salvini ha anche accettato di aggiungere, come chiedevano i 5S, un fondo per i rimpatri in modo da agevolare una procedura che nonostante tanti annunci, in realtà non ha trovato lo scatto auspicato. In ogni caso il ministro dell’Interno vuole a tutti i costi che si vari un provvedimento che, nelle sue intenzioni, eviti che la situazione sfugga al controllo del Viminale come è successo l’altra notte con la SeaWatch3. Peccato che per i grillini questo sia incostituzionale. Tant’è. Dice il sottosegretario leghista Giorgetti, braccio destro di Salvini, che ormai al governo «non riescono più a fare neanche un ordine del giorno insieme». Ed è la verità. Che sia teatro, ammuina, sceneggiata per il pubblico, è un fatto che Salvini e Di Maio se ne dicono da settimane di tutti i colori e più si avvicina il voto più si incattiviscono. Ieri Di Maio è arrivato a dire che Salvini «deve aver perso la testa» e non ha mancato di rinfacciargli l’atteggiamento dei leghisti su Francesco: «Non si fischia il Papa». Inoltre ha rivendicato il fatto che la tensione sia aumentata «dal caso Siri in poi» perché «il M5S ha ripreso a fare il M5S». Cioè a ribattere punto su punto all’alleato che ha obiettivamente dominato la scena dei primi mesi del governo facendo volare i sondaggi sul proprio partito e deprimere quelli riguardanti l’alleato-avversario.

E a proposito del caso Siri – il sottosegretario indagato per corruzione costretto alle dimissioni dall’intransigenza grillina e dalla decisione del presidente del Consiglio – sempre Giorgetti ha attaccato direttamente Conte accusandolo di non essere più super partes e dunque garante del famoso Contratto. Conte se l’è presa molto a male e ha ribattuto a muso duro, quasi minacciando le dimissioni, che attaccare lui in quanto premier significa attaccare l’intero governo. Come si vede, il clima non potrebbe essere peggiore. Non tale però da impedire che ieri sera il Consiglio dei ministri procedesse ad una infornata di nomine di primissima fila nella nomenklatura dello Stato: i vertici Inps, Ragioneria Generale dello Stato e Guardia di Finanza. Ognuno ha avuto ciò che chiedeva, che poi è sempre un buon motivo per rimanere insieme, anche a strattoni, dentro la cosiddetta «stanza dei bottoni» (che il povero Nenni disse di non aver mai trovato a Palazzo Chigi).

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