«Lo Stato c’è», una flebo
di liquidità per il Paese

«Lo Stato c’è. Non ci voltiamo dall’altra parte». È il senso del messaggio agli italiani del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, anticipato ieri in prima serata, poco prima dei Tg. Stavolta le misure per fronteggiare la peste del Coronavirus sono di carattere economico e non sanitario.

Si tratta di un gigantesco piano di finanziamento a favore di chi non ha i soldi per andare a fare la spesa. Una gigantesca immissione di liquidità in soccorso delle persone più disagiate, di chi non ce la fa più: non a caso verrà gestita dai sindaci d’Italia, che a loro volta selezioneranno i destinatari con l’aiuto dei servizi sociali. Una cifra enorme, 4,3 miliardi più 400 milioni con ordinanza della protezione civile, quasi cinque miliardi in tutto.

Conte ha tenuto a sottolineare che ad aiutare questa colossale operazione di economia di guerra, quasi una flebo finanziaria che deve mantenere in vita il Paese a cominciare dai più deboli, saranno i volontari e gli operatori del Terzo settore (dai patronati Acli alle onlus), cui finalmente gli si riconosce tutta la sua importanza e tutto il suo valore, dopo le denigrazioni e il ridimensionamento – a cominciare da quello fiscale - cui era stato sottoposto in questi anni. «Cuore pulsante della società», lo ha definito ieri sera Conte. Alleluia. Le risorse stanziate si tramuteranno in buoni pasto – un po’ come le tessere annonarie della Seconda guerra mondiale – e dovrebbero aumentare di valore attraverso ulteriori sconti della grande distribuzione (il capo del governo ha adoperato la sua «moral suasion» per ottenere ribassi dal cinque al dieci per cento sui prodotti).

Lo Stato dunque corre ai ripari mentre cresce l’inquietudine per il protrarsi della quarantena. Un’inquietudine denunciata anche dal Papa nella sua omelia durante la Messa in Santa Marta. «In questi giorni», ha detto Francesco «in alcune parti del mondo, si sono evidenziate conseguenze – alcune conseguenze – della pandemia; una di quelle è la fame. Si comincia a vedere gente che ha fame, perché non può lavorare, non aveva un lavoro fisso, e per tante circostanze. È il dopo che comincia adesso».

Il dopo che incomincia adesso. È la seconda emergenza che dovrà affrontare il nostro Paese: quella economica. «Nessuno verrà lasciato solo», assicura il premier. «Siamo al lavoro per azzerare la burocrazia, stiamo facendo l’impossibile. La ministra Catalfo e l’Inps stanno lavorando senza sosta. Vogliamo mettere tutti i beneficiari della Cassa integrazione di accedervi subito, entro il 15 aprile, e se possibile anche prima». Conte ha enumerato le categorie che possono usufruire dei 600 euro di risarcimento per far fronte a questa devastante emergenza. Ma dallo spirito comunitario di un’Italia che si risolleverà all’unisono, il premier ha poi condannato il macigno che avremo davanti nella fase della ricostruzione: l’Europa, anzi la Germania e i suoi Paesi satelliti del nord. Come è noto sia la Merkel sia la presidente della Commissione Von der Leyen sono contrari ai cosiddetti Covid-bond, che servono a garantire l’enorme e inevitabile ricorso all’indebitamento degli Stati colpiti dalla tragedia. «L’Europa dimostri di essere all’altezza della storia», ha detto senza mezzi termini Conte. Un’affermazione che si ricollega alle parole altrettanto ferme del Capo dello Stato pronunciate venerdì. Quello che gli economisti chiamano «uno choc simmetrico» necessità non solo dei 25 miliardi stanziati per sostenere il Paese ma di un vero piano Marshall dell’economia per ripartire. Uno sforzo comune senza precedenti. Altrimenti a che serve l’Europa? Se i tedeschi – che stanno facendo di tutto per nascondere sotto il tappeto i loro morti e i loro contagiati – non lo capiscono, allora si andrà avanti per proprio conto.

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