Ma la vera sfida
è dar vita alla vita

Sembra che nemmeno la «pietas» dimostrata da Papa Francesco nei confronti delle donne che ricorrono all’aborto sia riuscita a far breccia nei cuori e nelle menti illuminate di chi - nascondendosi dietro vecchi e insipienti slogan, vuoti come uno stadio il lunedì mattina - ha deciso, con un gesto di assurda tracotanza, chi possa promuovere un convegno e chi no, quali temi si possano discutere e quali no, chi abbia diritto di parola sul palco e chi no, chi vi possa partecipare e chi no. L’arroganza di chi si è preso il diritto di cancellare un diritto altrui (sarebbe interessante conoscere il principio democratico che sta alla base di questa singolare presa di posizione), è peraltro direttamente proporzionale alla sfrontatezza di chi, in una sola sera, ha rinnegato un anno di lavoro ampiamente condiviso, facendosi persino beffe dei propri (ormai ex) compagni di viaggio. Il riferimento, per chi non l’avesse ancora capito, è alle polemiche sviluppatesi dopo la decisione del Consiglio delle Donne di cancellare uno dei relatori al convegno sul «Nascere a Bergamo», guarda caso proprio quello proposto dal Centro di Aiuto alla Vita di Bergamo, colpevole (secondo l’associazione «Non una di meno», da cui è partita la protesta) «di spendersi affinché il numero di aborti sia il minore possibile, in quanto considerati un attentato alla sacralità della vita».

Una «sentenza» così brutale che non varrebbe nemmeno la pena di registrare se non fosse di una gravità e di una disumanità assoluta, frutto soltanto di una profonda ignoranza. Nemmeno due righe inserite in un comunicato, ma tanto è bastato per cancellare e calpestare ogni elementare diritto di ciascuno di noi.

Quello di nascere è un diritto inalienabile che appartiene a ogni essere umano, indipendentemente che mamma e papà credano in Qualcuno o non credano in niente. La sacralità della vita ha certamente una dimensione religiosa ma non è la sola, e a ben guardare non è nemmeno la prima. Il nascere ha innanzitutto una dimensione laica, ovviamente antropologica, ha una chiara dimensione sociale la cui forza appare a tutti con netta evidenza, e la sacralità della vita non può e non deve essere finalizzata solo al momento della nascita, ma dilatata lungo tutta la sua estensione, dal concepimento fino alla morte, senza alcuna interruzione.

Eppure, di fronte a ciò a cui assistiamo oggi, la battaglia pro e contro l’aborto che in queste ore si sta consumando nella nostra «piccola» città rischia di apparire inutile. Mai come in questi ultimi anni gli attacchi alla vita dei bambini sono platealmente sotto gli occhi di tutti e senza che nessuno, o quasi, si preoccupi minimamente della loro difesa. Bambini che muoiono sotto le bombe delle guerre, sui barconi dei migranti che attraversano il Mediterraneo, nei campi di concentramento della Libia o della Siria, bambini che muoiono di malattie persino banali perché senza medicinali, bambini che muoiono di fame o di freddo ai bordi della strade, bambini che muoiono nelle fabbriche… E tutto ciò avviene nell’indifferenza generale di un Occidente le cui briciole basterebbero a sanare molte ferite di questi bambini a cui neghiamo il futuro.

Già, il futuro dei bambini. Ma solo una società miope come la nostra non ha ancora capito che il futuro dei bambini altro non è che il nostro futuro, il futuro di tutti noi. Se lo sottraiamo a loro, lo sottraiamo anche a noi stessi. Nemmeno l’egoismo di cui siamo intrisi riesce ad aprirci gli occhi su una verità tanto sconcertante quanto assoluta. I demografi lo dicono – inascoltati – da tempo: un Paese senza giovani è un Paese senza futuro. Chi produce crescita e sviluppo economico sono soprattutto le nuove generazioni che entrano nella vita adulta. Ma se le nuove generazioni sono numericamente poco numerose, gli squilibri che ne derivano hanno effetti catastrofici per la vita di una società. La denatalità che caratterizza ormai da anni buona parte dell’Occidente, Italia in testa, non fa altro che «erodere» le generazioni più giovani, a vantaggio delle popolazioni più anziane, quelle che consumano il maggior numero di risorse. Che consumano, ma che non sono più in grado di produrre. È ovvio, allora, che senza giovani cominceranno a scarseggiare anche le risorse, e senza le risorse gli anziani non potranno vivere la propria condizione serenamente, come invece si meriterebbero. E quegli anziani, tra non molto, saremo noi.

La denatalità (e i dati che pubblichiamo anche oggi nelle pagine di cronaca lo confermano) è la grande sfida che dobbiamo affrontare, e vincere, nel più breve tempo possibile, pena un lento ma inesorabile «sbiadirsi» della nostra società, fino a scomparire, perché nemmeno i flussi migratori sembrano più in grado di garantirci un futuro. Servono urgenti politiche a sostegno della famiglia, perché si possa formare ed essere messa nelle condizioni di generare nuove vite. Discutere di altro è solo una perdita di tempo.

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