Migranti, «terza via»
risposta ai flussi

Il governo lunedì ha approvato un testo unico, che accorpa i decreti sicurezza e immigrazione, con un’equivalenza pericolosa (migranti uguale insicurezza). È vero: il 30% dei reati nel nostro Paese è commesso da stranieri, ma il 70% da italiani. Questo per dire che i confini della sicurezza sono molto più ampi. Il decreto prevede interventi di dubbia costituzionalità, come il fatto che basti una condanna in primo grado per far decadere alcuni benefici ai migranti, in barba all’articolo 27 della Costituzione (l’imputato non è colpevole fino alla condanna definitiva). Inoltre depotenzia il sistema Sprar (di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) che coinvolge 1.200 Comuni (alla faccia dell’autonomia…) e abroga il permesso di soggiorno per motivi umanitari: l’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) ha calcolato che questa decisione produrrà 60 mila nuovi clandestini.

Ora, probabilmente bastano queste righe di commento per essere bollati come buonisti e quindi inseriti nella categoria del «vogliono accoglierli tutti». Tutti chi e tutti quanti? La risposta non è mai specificata. Il dibattito manicheo prevede poi la categoria del «tutti fuori» che di questi tempi ha molti seguaci. Con un lungo intervento sulle pagine de «Il Foglio» di lunedì, Giorgio Gori propone un manifesto per una terza via. Il sindaco di Bergamo non risparmia critiche al suo partito: se la destra nazional-populista ha cavalcato sul fuoco immigrazione, «il centrosinistra ci ha messo del suo. La gestione dell’immigrazione attuata dai governi a guida Pd, per una buona parte della legislatura, ha contribuito a radicare l’idea di un fenomeno fuori controllo». Nel frattempo al Viminale si è insediato Matteo Salvini, propugnatore di una linea «né realmente realizzabile né utile al Paese». Basti pensare all’impegno di espellere i 500 mila irregolari dall’ Italia: il ministro poi ha riconosciuto che ci vorrebbero 80 anni.

La terza via parte da alcuni presupposti, a cominciare da quello demografico: al 2065 si prevede un saldo naturale negativo di 14,8 milioni di abitanti. Abbiamo bisogno di immigrati «almeno quanto il suo (dell’Italia, ndr) assetto democratico è oggi minacciato dalle conseguenze di un’immigrazione non adeguatamente gestita». Serve anche finalmente una politica europea. La terza via prevede due direttrici: gestione organizzata di flussi d’immigrazione legale e «una progressiva bonifica del bacino di immigrazione irregolare» sul territorio. A contribuire al boom di arrivi irregolari (migranti economici, tra il 60 e l’80% del totale) è stata infatti la chiusura dei canali di ingresso legali, esclusa la minoranza di chi fugge da guerre e persecuzioni che però non ha beneficiato di canali umanitari ma si è dovuta affidare ai trafficanti di uomini. Dal 1° gennaio 2009 il governo Berlusconi chiuse le porte ai migranti regolari, decisione poi confermata da esecutivi di altro colore. Era giunta la crisi economica e scoppiate le Primavere arabe. Ma si sono rafforzati i flussi irregolari, trasmettendo «la sensazione di un governo non controllabile». I migranti economici si sono mischiati ai potenziali richiedenti asilo ed è stato allestito un sistema di accoglienza che Gori definisce «complesso, farraginoso e costoso». È nata la «fabbrica della clandestinità». Solo negli ultimi tre mesi sono state emesse 13.200 sentenze di diniego della protezione internazionale ed eseguiti 1.200 rimpatri. Gli irregolari rimasti - esclusi dai centri d’accoglienza, privi di documenti, alloggio e lavoro legale - finiscono nel degrado, nel lavoro nero quando non in attività illegali o criminali.

La via d’uscita è la riattivazione di ingressi legali regolati e programmati sulle esigenze economiche e demografiche, riattivando i decreti flussi o l’incontro-domanda-offerta di occupazione gestito da agenzie per il lavoro e rappresentanze d’impresa. L’Inps ha sostenuto che in Italia c’è una forte domanda di lavoro immigrato.

La fabbrica di clandestini si demolisce cambiando i criteri di ammissione in Italia. Non basta moltiplicare gli accordi di riammissione nei Paesi d’origine che peraltro sono refrattari. La terza via prevede un criterio di merito «che riconosca e premi chi vuole davvero integrarsi nel nostro Paese, lavorare onestamente e rispettarne le regole». Il criterio di ammissione alla regolarità non può cioè fermarsi alla provenienza, alle condizioni dello Stato d’origine. Oggi non ci sono seri incentivi a costruire percorsi di formazione e di integrazione dei richiedenti asilo, né ad organizzarli né a parteciparvi con dedizione. Chi impara l’italiano e fa volontariato non ha possibilità in più di ottenere il permesso di soggiorno rispetto a chi non fa niente. I soldi per corsi di lingua intensivi, progetti di orientamento e formazione professionale verrebbero ricavati da quelli spesi per un’accoglienza «inutile». Sarebbe poi richiesto un rimborso spese all’immigrato, pari al 50%, nei cinque anni successivi alla concessione del permesso di soggiorno. Per quanto riguarda i 500 mila clandestini già in Italia, non è più il tempo delle sanatorie (siamo il Paese europeo che ne ha fatte di più, per oltre un milione di persone, 800 mila solo da uno dei governi Berlusconi). La via d’uscita è una regolarizzazione ancora sulla base individuale del merito, attraverso gli stessi percorsi formativi. Offrire una chance di integrazione ed espellere chi la rifiuta. Tutto ciò comporta dei costi, ma inferiori rispetto a quelli del degrado, dell’illegalità e della mancanza di sicurezza.

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