Nessuno vuole ora
la crisi di governo

Tanto tuonò che non piovve. Come prevedevano i più smaliziati, il partito di Matteo Renzi non ha votato le mozioni di sfiducia o di censura nei confronti del ministro della Giustizia Adolfo Bonafede, capodelegazione del M5S al governo. Dopo aver tenuto la maggioranza sulla corda per giorni e aver costretto il Pd ad avvertire che, caduto Bonafede il governo sarebbe andato in crisi, Renzi all’ultimo minuto ha ritirato la mano e ha votato no alle mozioni di +Europa e del centrodestra. Non che abbia lesinato critiche al Guardasigilli, alla sua idea di giustizia e all’amministrazione del ministero di via Arenula, però alla fine del discorso, con abile piroetta, l’ex presidente del Consiglio ha dichiarato che, tutto sommato, l’«imputato» poteva anche restare al suo posto dal momento che Italia Viva si riteneva soddisfatta dai «segnali» ricevuti da Conte.

In cosa consistano questi «segnali» non è dato sapere: gli avversari di Renzi, a cominciare da Salvini e Meloni, dicono apertamente che c’è stato un baratto o di bandierine politiche (la regolarizzazione degli immigrati voluta dai renziani e ingoiata dai grillini che erano contrari) o di poltrone del sottogoverno. Chissà.

Italia Viva è un vascello corsaro e, per sopravvivere, deve procedere così, con incursioni e rapide ritirate: i sondaggi lo inchiodano ad un modesto 3 per cento, quindi potenzialmente fuori dal Parlamento alle prossime elezioni, ma al Senato dispone pur sempre di 17 senatori. Che ieri, nelle votazioni su Bonafede, si sono rivelati ancora una volta determinanti: se Renzi avesse votato a favore della mozione Bonino, questa sarebbe passata con 148 voti mentre la maggioranza si sarebbe fermata a quota 143. Dunque, la pistola renziana non è proprio caricata a salve: un proiettile potenzialmente può sempre partire.

Resta il fatto che nessuno, proprio nessuno, ora vuole andare ad una crisi di governo o a nuove elezioni. Non solo perché sarebbe un unicum mondiale: un Paese che con una pandemia addosso e una spaventosa crisi economica da affrontare che si prende il lusso di rimanere senza un governo, non si è mai visto. Ma anche perché in troppi, a oggi, ci rimetterebbero del loro, se si andasse a votare: Renzi con molte probabilità stenterebbe a far eleggere anche un manipolo di parlamentari; i grillini ne uscirebbero – bene che vada – dimezzati, e la stessa Lega vedrebbe ridimensionati i sogni di gloria dell’anno scorso: alle elezioni europee Salvini, dopo aver vinto in quasi tutte le regioni, superò il 30 per cento dei voti mentre oggi le rilevazioni lo danno sotto quella quota e pericolosamente vicino al Pd di Nicola Zingaretti, e tutto a vantaggio di Fratelli d’Italia che invece si appresta a strappare al M5S il terzo posto nella classifica dei partiti più votati. Dunque, nessuno - a parte Giorgia Meloni e forse il Pd - oggi ha interesse a sciogliere le Camere. Conclusione: Conte e i suoi ministri possono ragionevolmente sperare di andare avanti almeno fino alla primavera del 2021. Se nei prossimi mesi i soldi previsti dai vari decreti per le categorie più colpite arriveranno davvero, e se dall’Europa pioveranno quei cento miliardi di euro a fondo perduto che ci aspettiamo dal Recovery Fund, l’attuale presidente del Consiglio potrebbe avere di fronte a sé un certo numero di mesi di navigazione.

Se poi le cose andassero bene e si riuscisse a contenere la protesta sociale dovuta alla depressione, l’obiettivo potrebbe diventare addirittura la conclusione della legislatura con l’elezione del nuovo Capo dello Stato (per la quale si comincia già a ipotizzare un bis di Mattarella).

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