Non si può morire
da pendolari

Dimenticare è impossibile, ricordare è obbligatorio. È uno dei passaggi più significativi del documento dei pendolari letto ieri alla commemorazione delle tre vittime dell’incidente di Pioltello. Poche parole, piene di ricordo, emozione e responsabilità: un anno dopo la tragedia ci sono tre famiglie che attendono ancora di capire il perché di un viaggio senza ritorno. E migliaia di pendolari di sapere se il loro andare e venire quotidiano sia davvero sicuro. Comodo magari no, ma almeno sicuro. C’è un’inchiesta, ci sarà un processo, e poi una sentenza, l’appello, le polemiche: tutto come da italico copione. Ma questa tragedia ha cambiato molto le cose: «Un malessere che abbiamo da allora per aver visto crollare due certezze della vita da pendolare: il treno quale mezzo sicuro e la sensazione di incolumità derivante dal viaggiare in Lombardia, la locomotiva d’Italia» ammettono i pendolari. Parole semplici di vite d’ogni giorno, di una paura che si è fatta quotidiana. Perché ha ragione il ministro Danilo Toninelli, al di là delle preventive sentenze sulle carenze di manutenzione: se le statistiche dicono che il nostro è il Paese europeo con meno vittime in incidenti ferroviari, morire mentre si va al lavoro in treno è comunque folle, inammissibile.

E non è vero che il tempo sistema le cose: la paura rimane e alle tragedie non ci si rassegna mai, semmai ci si adegua. Si sale cioè ogni giorno sul treno non pensando a quello che è successo e che magari potrebbe succedere ancora. Pochi mesi fa solo la prontezza di un macchinista ha evitato un incidente dalle caratteristiche potenzialmente analoghe sulla Milano-Carnate, a pochi chilometri da Pioltello, su un’altra delle direttrici prese d’assalto ogni giorno da 800mila persone: un lombardo su 10 se calcoliamo quelli in età da lavoro. Per tacere dei brividi che hanno attraversato i forzati della Bergamo-Carnate alla scoperta che il ponte di Calusco aveva seri problemi di tenuta. Ma seri davvero.

Non sta a noi attribuire responsabilità a questa o quella parte, anche perché lo spezzatino sui binari tra società del gruppo Ferrovie e la nascita di soggetti misti come Trenord rende i confini ancora più labili e indefiniti. Ma facciamo nostre senza esitazione alcune delle parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che in tempi difficili si conferma sempre di più un punto di riferimento: «La sicurezza della rete di trasporti e l’efficienza del servizio costituiscono parte della qualità della vita, e della libertà stessa, della nostra comunità nazionale. Le garanzie sono affidate alle istituzioni pubbliche, agli organi di controllo e agli operatori, e non possono essere compresse o sacrificate in nome di altre priorità». E nemmeno sull’altare di sterili polemiche su opere grandi o piccole che siano, ci permettiamo di aggiungere.

Il mercato ha le sue regole, è noto e sarebbe da illusi contestarle a priori: il business è legittimo, ma il profitto non può mai avere la meglio su principi sacrosanti ed elementari come la sicurezza di chi viaggia ogni giorno sulle ferrovie. Ma anche su strade, autostrade o pullman. E il pubblico ha il dovere, l’obbligo, di controllare: senza se e senza ma. Principi persino più importanti della qualità del servizio stesso, come hanno tristemente ammesso gli stessi pendolari che mai avrebbero immaginato un incubo del genere. Qualche mese fa abbiamo pianto Luigi, 14 anni di Ardesio, morto alla stazione di Gazzaniga mentre cercava di prendere un pullman per tornare a casa da scuola. L’anno scorso Ida, Pierangela e Giuseppina che stavano andando al lavoro in treno, un mezzo che si pensava sicuro. Tragedie che non possono diventare solo sterili anniversari da celebrare ogni anno sperando che non capitino più. Perché morire così non si può, non si deve.

© RIPRODUZIONE RISERVATA