Nuovi italiani
Legge e paure

In Italia vivono almeno 800 mila studenti sotto i 18 anni (25 mila nella Bergamasca) che parlano italiano, hanno amici italiani, hanno appreso gusti e abitudini italiane. C’è addirittura chi parla con le inflessioni dialettali del luogo di residenza. Eppure restano stranieri. La legge in vigore che regola la concessione della cittadinanza è del febbraio del 1992 e si basa sul principio dello «ius sanguinis» (diritto di sangue), prevedendo tre modalità di acquisizione: per naturalizzazione, per matrimonio e per nascita (se si ha almeno un genitore italiano, da cui il «sanguinis»). Nel primo caso la cittadinanza può essere concessa dopo dieci anni di residenza ininterrotta sul territorio nazionale; nel secondo a uno straniero che sposa un cittadino italiano dopo una residenza di due anni dal matrimonio.

È invece cittadino per nascita chi è nato da padre o madre cittadini italiani. Se i genitori stranieri sono diventati cittadini italiani, anche il figlio minore convivente lo diventa. In base al principio dello «ius sanguinis», però, se il minore è nato in Italia ma i genitori non sono cittadini italiani, può diventare italiano solo dopo aver compiuto 18 anni e se fino a quel momento ha risieduto in Italia «legalmente e ininterrottamente», pur essendo nato in Italia e vissuto qui dal giorno della nascita.

Nella scorsa legislatura il Pd aveva portato avanti un progetto di legge di riforma per introdurre lo «ius culturae»: possono chiedere la cittadinanza i minori stranieri nati in Italia o arrivati entro i 12 anni e che hanno frequentato le scuole italiane per almeno cinque anni e superato almeno un ciclo scolastico (cioè le scuole elementari o medie), poi accantonata in dirittura d’arrivo dal governo Gentiloni per le imminenti elezioni del 4 marzo 2018. Secondo un sondaggio Ipsos dello scorso marzo il 45% degli italiani è a favore della riforma (ma con almeno un genitore in possesso di permesso di soggiorno permanente), il 49% contrario.

Domani alla Commissione affari costituzionali della Camera riprenderà l’iter della riforma. Ci sono diverse proposte, ma quella sulla quale sembra possibile un incontro tra 5 Stelle e Pd è lo ius culturae. Anche se le posizioni sono sfilacciate: il capo politico del M5S Luigi Di Maio è contrario ma anche fra i dem c’è chi frena. Le motivazioni sono timide e deboli («non è il momento», «ci sono altre priorità») e sembrano più preoccupate del consenso elettorale in vista del voto regionale in Umbria del 27 ottobre prossimo.

Lega e Fratelli d’Italia sono sulle barricate e annunciano proteste in piazza. L’ex ministro Matteo Salvini, con il solito stile da fine statista, ha detto che «lo ius soli è insulto per gli immigrati per bene. Quando dico “prima gli italiani”, lo dico anche per quegli immigrati che sono arrivati anni fa regolarmente. La cittadinanza va conquistata. A 18 anni hai la maturità per scegliere. Perché la vogliono dare prima? Perché così restano qua genitori, nonni, zii. Ma io di criminali ne ho piene le p…». I ragazzi che accederebbero alla cittadinanza però sono proprio i figli di quegli immigrati per bene e non si capisce perché la nuova legge (che non sarebbe lo ius soli puro) dovrebbe insultarli. Né c’è un nesso fra concessione della cittadinanza e permanenza di nonni e zii. L’accusa di essere criminali poi è tanto grave quanto generica. In realtà la cittadinanza è uno strumento d’integrazione, per giovani che hanno perso legami con l’identità culturale e sociale dei genitori e non si sentono ancora del tutto inseriti nella nuova comunità. La scuola è un grande laboratorio: gli insegnanti, pur fra tante fatiche, operano ogni giorno per favorire l’integrazione. È un’istituzione più avanti della politica. Come lo è il Csi (Centro sportivo italiano), una grande organizzazione di volontariato, una scuola di sport e di senso civico, che tessera i minori immigrati come italiani, per non discriminarli. Perché temere questi ragazzi, possibili nuovi italiani?

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