Obbedienza e pace: stile e lascito per noi oggi

ITALIA. «Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra, pacem in terris, agli uomini di buona volontà». Questa invocazione liturgica di lode sintetizza il significativo anniversario che stiamo celebrando: 60 anni fa moriva, anzi nasceva al cielo, Papa Giovanni XXIII. Di Francesco Beschi, vescovo di Bergamo.

Poche settimane prima di quel 3 giugno 1963, esattamente l’11 aprile, aveva donato al mondo quel capolavoro di umanità e cristianità che è l’enciclica «Pacem in terris», quanto mai attuale oggi. La sua santità che brilla nei cieli e rende gloria a Dio diventa per ciascuno di noi responsabilità per metterci «di buona volontà» a riconoscere, a coltivare, a costruire, a tessere, a trasmettere la cultura del Vangelo. Bergamo-Brescia sono Capitale della Cultura, anche di quella evangelica. Un legame segnato anche nella storia, perché lo Spirito Santo ha voluto che in questo 60° ci sia anche come segno di unità e sintonia l’elezione del bresciano santo Papa Paolo VI, il 21 giugno. Roncalli e Montini come Santi ci sono protettori, come Papi ci sono padri, come cristiani e cittadini di questa terra ci sono fratelli maggiori.

Papa Giovanni XXIII, venuto a contatto con altre tradizioni e culture nel mondo, aveva più volte constatato la particolarità della «ricchezza di fede operosa» propria di Bergamo e da lui respirata, conosciuta e assimilata in profondità nella famiglia, nella parrocchia di Sotto il Monte, nel seminario di Bergamo, nei molteplici impegni pastorali prima come prete in diocesi, con particolare dedizione al mondo laicale e soprattutto giovanile, e poi da Vescovo, da Cardinale, da Sommo Pontefice.

Volendo tratteggiare questa «fede operosa», scelgo quattro parole come pennellate essenziali e dense: provvidenza, anima, cordialità, ecumenismo. La provvidenza nutre quella fiducia interiore che è alimentata dal comprendere che tutto è dono, tutto è grazia, come aveva imparato fin da bambino nella scuola del cortile, con i maestri della patriarcale, numerosa, modesta famiglia dei Roncalli: «Io ho dimenticato molto di ciò che ho letto sui libri, ma ricordo ancora benissimo tutto quello che ho appreso dai genitori e dai vecchi». Da queste profonde radici fiorisce quella fede umile che diventa pazienza nelle difficoltà, sobrietà nell’uso delle cose, costanza nella semplicità, capacità di guardare al futuro con ottimismo. Riesce a vivere questo solo un’anima profonda, curata giorno per giorno, come dimostra quel cammino spirituale intenso che ci è donato nel suo «giornale dell’anima». Scrive: «La sapienza è semplificare, ridurre all’essenziale, ritmare la vita con poco, tornare al semplice, alla nuda verità dell’uomo e dei suoi meccanismi spirituali più semplici e profondi».

Da questa ricchezza interiore sgorga la cordialità che non è solo un buon sentimento, ma è frutto di una volontà illuminata dal Vangelo. Annota di se stesso durante la sua missione apostolica in Turchia: «La mia funzione è di dare acqua a tutti. Il lasciare una buona impressione anche sul cuore di un birbante mi pare un buon atto di carità che a suo tempo porterà benedizione. Che poi si dica che queste cose accadono al “buon” monsignor Roncalli, poco conta. Sorrido, guardo in alto e procedo per la mia strada». Una strada che porta all’ecumenismo, al dialogo, alla ricerca dell’unità, alla sinodalità - ci ripetiamo oggi con Papa Francesco - che è il cercare più ciò che unisce di ciò che divide. Il 24 dicembre 1918 riferendosi al Movimento studentesco parla della necessità di «educazione di forti coscienze e di quegli uomini che dovrebbero essere gli uomini di azione del futuro». Il 7 dicembre 1965, da Papa, nell’enciclica Mater et Magistra, scrive: «Il bene comune è l’insieme delle condizioni sociali che consentono e favoriscono negli esseri umani lo sviluppo integrale della persona».

Provvidenza, Anima, Cordialità, Ecumenismo diventano acrostico di P.A.C.E., perché il cercare l’obbedienza alla gloria di Dio in cielo, porta alla pacem in terris. «Obbedienza e pace»: fu il suo motto, fu il suo stile, fu il suo metro di giudizio, fu il suo cammino di santità, fu la combinazione che a lui aprì le porte del cielo in quel 3 giugno 1963.

Provvidenza, Anima, Cordialità, Ecumenismo sono frutti della cultura dell’essenzialità che scorre come linfa nel sangue bergamasco e bresciano, quella che ci spinge a camminare insieme per servire la vita là dove la vita accade. È lui che ci ridice oggi: «Figli di Bergamo, di questa Chiesa che amo, fatevi coraggio, fatevi onore. Ho messo i miei occhi nei vostri occhi, ho messo il mio cuore accanto al vostro cuore. Sentitevi chiamati a cose grandi! Uscite dal recinto, percorrete le strade del mondo. Gesù è venuto per abbattere tutte le barriere. La questione sociale è questione di vita. Cari figlioli i vostri dolori non andranno perduti. Richiamo a tutti ciò che vale di più: Gesù Cristo, la Chiesa, il Vangelo... Vi esorto a progredire sempre nella bontà, nella virtù, nella generosità, affinché i Bergamaschi siano sempre degni di Bergamo».

*Vescovo di Bergamo

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