Pensioni e cittadinanza
sospesi dall’ok europeo

È decisamente accaduto qualcosa tra sabato all’ora di cena e ieri sera; tra l’incontro di Conte e Junker a Bruxelles e il vertice a palazzo Chigi che ha impegnato il presidente del Consiglio, i due consoli del governo e il ministro dell’Economia Tria. È successo che l’offensiva della Commissione Europea, spalleggiata da tutti i governi della Ue nessuno escluso, ha cominciato a produrre i suoi risultati.

La bocciatura della manovra economica dell’esecutivo giallo-verde di Roma (e con essa la prospettiva di pesanti sanzioni sia comunitarie che finanziarie, la quasi certezza di una manovra aggiuntiva da fare di corsa entro i primi mesi del 2019 per evitare un pericoloso scrollone alle banche e a mutui e risparmi) ha cominciato a indurre Salvini e Di Maio a più miti consigli. Glielo aveva detto del resto Alexis Tsipras di non forzare troppo la mano: «Dopo sarebbe peggio» li ha avvertiti il premier greco che a suo tempo sembrava volesse mettere sottosopra Bruxelles e invece è stato brutalmente piegato.

E così un primo risultato lo abbiamo visto subito, sono sparite le dichiarazioni roboanti dei due vicepremier: «Non arretreremo di un millimetro», «il deficit a 2,4 non si tocca», «e non si azzardino a multarci». Da domenica mattina abbiamo appreso che «non ci si può impiccare a qualche decimale», che «l’importante è che i principi restino fermi, sul resto si può dialogare», e «gli italiani vanno rispettati però noi cerchiamo un accordo con l’Europa», insomma: «Non moriremo per uno zero virgola».

Ecco, appunto. Qualcosa è cambiato: Giuseppe Conte deve aver avuto dei colloqui illuminanti quando, proprio alla riunione di domenica del Consiglio europeo, è stato avvicinato prima dalla Merkel e poi da Macron, decisi ad appoggiare la Commissione che chiede due cose: meno deficit e meno spesa corrente, e più investimenti per la crescita. Sabato era l’ultima chiamata dell’Europa e Roma ha risposto.

Questo naturalmente non ha lasciato tranquilli i due consoli nei loro rapporti, perché se c’è da fare un sacrificio, sarà tutto a carico delle misure-bandiera dei due partiti: il reddito di cittadinanza e la revisione della Fornero. Se si fa meno deficit, ci sono meno soldi per quelle due riforme da portare davanti agli Italiani alle elezioni europee di maggio. E chi dovrà sopportare la decurtazione? Sembra che la soluzione sia far partire più tardi entrambe le riforme: già così si risparmierebbero tre miliardi e rotti, uno zero virgola uno del deficit previsto. È la «rimodulazione» delle misure di cui aveva parlato Conte in aula alla Camera alla vigilia della missione brussellese: dovrebbe funzionare.

Ieri sera a palazzo Chigi hanno lavorato per mettere a punto le novità cercando di non fare la figura di chi – dopo aver battuto i pugni – si è dovuto rassegnare alla forza dell’interlocutore. Renato Brunetta ha perfidamente consigliato di riscrivere la manovra daccapo: non sarà necessario, basterà fare gli opportuni emendamenti e poi inchinarsi alla volontà del Parlamento che deve varare il bilancio entro la fine dell’anno.

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