Per il risparmio
è l’epoca dello 0.0

Il web è diventato 2.0, l’industria si trasforma in 4.0, il risparmio ritorna a 0.0. Nel senso che il rendimento è ormai sistematicamente nullo. Colpa della politica monetaria eccezionalmente espansiva, dei massicci acquisti di titoli pubblici e privati da parte della Bce, che ne fa salire i prezzi e ne comprime i rendimenti. Le obbligazioni, soprattutto quelle pubbliche, sono il tipico strumento di investimento dei piccoli capitali e oggi nel mondo ce ne sono per ben 13 mila miliardi a rendimento negativo, cioè che costano di più di quanto ripagheranno in futuro. Una stranezza? Un non senso? Certamente una condizione mai vista nella storia finanziaria, che priva i piccoli operatori della legittima remunerazione dei loro capitali.

È una tassa occulta, un’ingiustizia che si fa finta di non vedere perché prevalgono l’esigenza di alimentare il fabbisogno statale e la speranza, evidentemente non coronata da successo, di stimolare la domanda e la crescita economica.

Lasciamo i temi di politica monetaria e chiediamoci cosa deve fare il risparmiatore di fronte allo scenario dei rendimenti nulli. Per essere precisi bisogna dire che non ci sono attese di proventi «staccati», rivenienti dalle cedole periodiche, di agevole previsione e che consentono una pianificazione realistica. Ma non vuol dire necessariamente reddito nullo, perché la remunerazione può derivare anche dalla rivalutazione dei titoli. Dall’inizio dell’anno l’indice obbligazionario globale JP Morgan è cresciuto dell’8,8%, l’indice generale delle Borse mondiali Msci World Index è aumentato addirittura del 22%, variazioni che si sono riverberate positivamente, magari parzialmente, sui vostri titoli e sui vostri fondi d’investimento. Non illudiamoci però che questo andamento positivo si ripeta l’anno prossimo: è già sorprendente che si sia verificato nei mesi scorsi. Bisogna essere consapevoli che i rendimenti da variazione dei prezzi sono un rischio simmetrico, cioè possono verificarsi in senso positivo come in senso negativo. E spesso le discese sono molto più ripide, repentine e imprevedibili delle risalite. Rischio è dunque la parola chiave da tenere presente in questo particolare momento di mercato in cui i prezzi di tutte le classi di attività finanziarie sono eccezionalmente alti e lasciano più spazio a possibili diminuzioni che a previsioni di ulteriore aumento.

Bisogna dunque predisporsi ad accettare rendimenti nulli, coscienti che ogni profitto non può che essere basato sull’assunzione di un rischio, più o meno rilevante e più o meno palese. Bisogna essere ancora più prudenti che in passato ma, a differenza del passato, non si può più identificare la prudenza con l’investimento in obbligazioni, soprattutto emesse dallo Stato. Negli anni scorsi la componente di rischio era avvertita soprattutto come pericolo di default del Tesoro. Oggi questa prospettiva sembra scongiurata, e l’alea risiede nella possibilità che i Btp, che oggi valgono ben oltre il loro valore nominale, ripiombino al di sotto della parità. Bisogna resistere alle lusinghe di chi prospetta rendimenti certi, anche se non particolarmente alti. Per conseguire un modesto 3%, che ieri sembrava molto prudenziale, occorre necessariamente esporsi a rischi di prezzo, di cambio o di insolvenza. Bisogna infine porre molta attenzione ai costi operativi e di gestione, perché per riassorbire percentuali anche piccole di remunerazione dei servizi bancari è necessario, di nuovo, assumere un po’ di rischio. E la trasparenza sui rischi e sui costi degli investimenti, è confermato da recentissime ricerche, è davvero molto scarsa.

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