Per le imprese una cifra
imponente. Ora l’Europa

Ieri il Consiglio dei ministri italiano che vara il maxi-provvedimento sulla liquidità; oggi il plenum dei ministri delle Finanze dell’area euro che provano a trovare un accordo sulla risposta economica e fiscale alla pandemia. Non sono queste due giornate qualsiasi: si discute di come salvare, da una parte il tessuto produttivo della seconda manifattura della Ue, dall’altra di dimostrare che l’Europa è ancora una comunità e non un’assemblea di condominio dominata dai proprietari più micragnosi. Il governo italiano ha «aperto l’ombrello» sulle imprese di ogni dimensione con una manovra che mobilita 200 miliardi per dare loro liquidità e altri 200 per sostenere l’export.

A gestire l’operazione sarà la Sace, la società pubblica di Cassa depositi e prestiti che ha come missione proprio quella di sostenere il tessuto delle imprese. Questo dovrebbe consentire una certa rapidità di erogazione dei prestiti garantiti al 100% (o un poco meno) dallo Stato. In totale, l’Italia mette in campo – tra i vari provvedimenti – risorse per 750 miliardi, una cifra imponente, forse la maggiore della storia repubblicana (e si era partiti pensando a 3-4 miliardi al massimo!) per far fronte ad una crisi economica di rara entità.

Naturalmente salteranno tutti i parametri sul deficit (si dice che potrebbe arrivare intorno al 5% sul Pil) ma fortunatamente sulla sospensione del Patto di stabilità in Europa non è stato necessario combattere più di tanto (anche perché questa volta «sforare» i tetti serviva anche alla Germania che ha messo in gioco risorse per il 10 per cento del Pil, più o meno 1500 miliardi, di cui 156 a deficit). Dal punto di vista politico c’è stato un tira-e-molla tra Pd e M5S sui soggetti che gestiranno l’iniezione di liquidità, ma nulla di particolarmente rimarchevole. L’opposizione ha contestato il governo dicendo che servirebbe molto di più. Alla fine la decisione è stata presa e adesso si parte.

Viceversa è molto più incerta la riunione di oggi dell’Eurogruppo. Sono in corso trattative serrate, il fronte Sud battaglia col fronte Nord, la Francia prova a mediare e a farsi sentire da una Germania scossa da un dibattito politico interno non banale: verdi e socialdemocratici, insieme a molte voci influenti dell’establishment (anche gli ex ministri Fischer e Gabriel, per esempio), chiedono alla cancelliera Merkel di prendersi la responsabilità di «salvare l’Europa» da una sfida senza precedenti e decidersi ad assumere finalmente una leadership continentale e non solo meschinamente nazionalistica. Questo significherebbe lasciar da parte il Fondo salva-Stati (Mes) con i suoi trucchi, e aprire all’«operazione eurobond» chiesta dai 13 Paesi dell’area Sud più altri, cioè un’emissione comune di obbligazioni garantite dalla tripla A dell’Unione che permetterebbe di usare contro il coronavirus non il solito bazooka ma una vera bomba atomica.

Però il governo di Berlino al momento esclude recisamente questa soluzione, e non si capisce se si mette così alla guida dai Paesi più riottosi del Nord, a cominciare dagli olandesi di Mark Rutte, o se si fa condizionare da loro. Forse a quelle latitudini non ci si rende conto di quello che ha scritto ieri il Financial Times, e cioè che in questo momento è l’Europa stessa a combattere tra la vita e la morte, e che rompere con tutti i Paesi mediterranei piantandoli nel mezzo di una catastrofe prima sanitaria e poi economica, sarebbe l’anticamera della dissoluzione dell’Unione oltre che della rovina economica del continente. Ma che gli olandesi o i funzionari della Bundesbank capiscano lo spirito solidaristico della fondazione dell’Ue forse è veramente chiedere troppo.

Se l’Eurogruppo non troverà un accordo soddisfacente, e riproporrà il capestro del Mes, la prossima riunione dei capi di Stato e di governo potrebbe rivelarsi più drammatica della precedente, e non è escluso che Italia e Spagna utilizzino il loro potere di veto contro le imposizioni dei tedeschi e dei loro amici olandesi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA