Politica del surf
e corsa in Europa

L’ultimo cedimento di Di Maio verso Salvini è il reddito di cittadinanza solo agli italiani, sempre che non vada a sbattere contro la Costituzione. La linea del Piave, la bandiera dei Cinquestelle in comproprietà con il sovranismo. Un po’ per l’uno e un po’ per l’altro. Ma la torta non è divisa in parti uguali, come s’illudevano i grillini. Il ministro dello Sviluppo economico cerca lo sgambetto per rimontare, rincorre il socio quasi a volersi liberare di quello che appare un ruolo gregario da junior partner.

Ma non c’è niente da fare: il titolare dell’Interno non solo è il dominus della maggioranza, ma di fatto tiene al guinzaglio il Paese, l’uomo forte che conduce il gioco. Può molto, spread e Costituzione permettendo, oltre il proprio mandato istituzionale e il perimetro della Lega. Può fare il cattivista e al contempo proporsi come elemento stabilizzatore e rassicurante, se non moderato, su tutte le frizioni con i mondi produttivi: l’uomo che sa gestire i propri incendi e il pompiere che spegne i focolai altrui.

Questo confine extra large gli è consentito, perché gran parte degli umori collettivi sono con lui. I sondaggi danno i felpastellati al 60%, però con Salvini verso il raddoppio dei voti del 4 marzo e in fase di sorpasso. Passa anche l’idea che la politica migratoria sarà pure discutibile, tuttavia in definitiva risulta efficace. In fondo, a ben vedere, dopo aver capito che la stagione di Bossi era finita, non ha elaborato un pensiero in proprio, ma ha intuito che era più facile mettersi sulla scia di quel grande movimento d’opinione che da Orban e Trump va sotto il nome di populismo.

Salvini è un surfista: raccoglie a destra e a manca, a partire dalla rendita di posizione che gli deriva dall’alleanza anomala con i Cinquestelle e che per ora gli sta dando solo buoni risultati. Può quindi giocare su più tavoli, non solo pescare nei due forni: del governo e della opposizione-non opposizione di Forza Italia, come s’è visto dal recente riavvicinamento a Berlusconi.

Gli azzurri sono in caduta libera, l’ex Cavaliere deve gestire il proprio declino e curare gli affari di famiglia, Tajani si smarca in chiave europeista, Toti fa il pontiere con Salvini. Se vuole rientrare dalla finestra, Berlusconi non ha molte alternative, perché Salvini gli è comunque indispensabile. Accetta così qualche schiaffo dal governo in cambio di piccole ricompense sul territorio.

La partita del cuore si gioca alle Europee, dove si corre con il proporzionale e con lo sbarramento del 4%. Fratelli d’Italia rischia di non superare la soglia, mentre resta da vedere se Berlusconi intende effettivamente candidarsi come ha dichiarato ieri all’incontro di Fiuggi. L’ipotesi di un listone di centrodestra è plausibile e del resto Forza Italia, all’europarlamento, non ha votato la censura del premier ungherese. In qualche modo il governo troverà il punto d’equilibrio per mettere insieme la legge di bilancio e del resto Salvini non ha alcun interesse ad aggiungere ulteriori motivi di tensione. A conti fatti e pur in un clima conflittuale, farà di tutto per comporre la cerniera fra l’impaziente Di Maio e il prudente Tria.

Le parole giuste («Di più non si poteva fare») si troveranno e già infatti il condono è diventato «pace fiscale». Perché la cronaca di questi giorni e dei prossimi mesi va vista con lo sguardo lungo sulle Europee: è in quel tornante che il capo leghista intende passare all’incasso, la prova di forza dei sovranisti non solo contro questa Europa ma anche contro la cultura liberaldemocratica. Se gli riesce la spallata, inizierà da qui la fase 2 di Salvini, ridefinendo la propria linea e i rapporti di forza con i compagni di viaggio: vecchi e nuovi.

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