Protezione sociale
Argine al populismo

Sui caratteri del populismo si è scritto tanto. Jan-Werner Müller, che sarà a Bergamo il 19 maggio, ne ha bene colto la concezione anti-pluralistica e cioè la visione iper-semplificata e moralistica di un popolo portatore di un’unica, vera, volontà. L’approccio verso questo fenomeno è spesso, e non senza ragioni, critico e tuttavia il rischio è che la critica eluda le questioni di fondo che il consenso al populismo solleva. In Italia, si ritiene che espressioni attuali della tendenza populistica siano la Lega e il M5S. Si tratta di alleatidi governo, ma anche di formazioni partitiche molto differenti tra loro. A me pare che il favore incontrato da queste due forze lasci intravedere una trama nascosta, ma importante, che va portata alla luce e presa sul serio.

Questa trama è stata lucidamente colta dal filosofo politico Carlo Galli che, in un saggio dedicato alla «Sovranità» (Il Mulino 2019), stabilisce una connessione convincente tra l’emersione, in diverse forme, del fenomeno populistico e una domanda di protezione, fondamentale e tuttavia ormai inevasa dallo Stato e non ancora assunta dall’Unione Europea, manifestata da cittadini che si sentono, anche se non sempre lo tematizzano, vulnerabili. Osserva Galli, che la «richiesta che gli Stati tornino ad appropriarsi della sovranità ha più il segno della tutela delle esistenze singole e familiari, dei piani di vita individuali, che non della ipertrofia del “politico”, della volontà di potenza nazionalistica. Ciò che si chiede è più uno Stato protettore che uno Stato guerriero, più uno Stato sociale che uno Stato Moloch»; si tratta insomma «delle proteste degli esclusi, dei pericolanti, dei minacciati».

La forza attrattiva, soprattutto al Sud, del reddito di cittadinanza promosso dal M5S e perfino la retorica xenofoba anti-immigrati della Lega sono manifestazioni, diverse, di questo bisogno. Nella radicalizzazione della questione migranti, che certo non si ha intenzione di legittimare, si può leggere l’idea che la fragilità non possa essere la condizione di uno strato marginale della popolazione (fatto di stranieri o di esclusi), ma che la vulnerabilità esprima i destini di fasce crescenti, se non di tutta la cittadinanza. Il sovranismo diviene allora la risposta, che io ritengo illusoria, a questa domanda radicale di protezione sociale e il contrasto alle migrazioni si erge a malintesa politica sociale.

Ma non basta irridere alla paura. Il bisogno di protezione è un carattere antropologico strutturale ed è il fondamento, perfettamente tematizzato già da Hobbes, dell’obbligazione politica. Per arginare il populismo sovranista, l’Unione europea, o almeno un suo nucleo più integrato, deve urgentemente e senza ambiguità porre al centro delle sue politiche la protezione sociale.

Non regge il compromesso che attribuisce le politiche economiche all’Europa e mantiene in capo agli Stati quelle sociali. In questi anni, l’unanimità che è richiesta all’Ue per decidere in materia di politiche sociali è diventata un obiettivo irraggiungibile. Il problema invero è stato percepito e la Commissione Juncker, per contrastare la caduta di consenso dell’Ue, lo ha messo retoricamente nell’agenda politica: si è parlato di un «pilastro sociale europeo» da edificare o consolidare. Ma la montagna ha sin qui partorito il topolino. I governi degli Stati, anche quelli a guida dei partiti cosiddetti sistemici, non sembrano davvero percepire l’urgenza della questione. Nessuno può più credere alla favola per cui la liberalizzazione dei mercati sia la risposta alla protezione sociale: le ricchezze si polarizzano e la diseguaglianza è cresciuta esponenzialmente. O la protezione sociale diventa il cuore della proposta politica dell’Ue o almeno del suo nucleo a più elevata velocità di integrazione o sarà del tutto inutile continuare a inveire contro il populismo e la sua ingannevole ricetta sovranista.

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