Quelle storie
di libertà
conquistate
col vaccino

Non contro qualcuno, ma per contribuire a proteggere tutti. È questo il senso di «#iomivaccino - storie di libertà», lo spazio che il giornale dedicherà da oggi fino al 24 dicembre a trenta noti personaggi della comunità bergamasca che si sono vaccinati contro il Covid, riconoscendo non solo il valore scientifico del siero, ma anche quello etico e morale dell’atto in sé, segno di grande rispetto e di amore verso il prossimo, oltre che verso se stessi.

Sul giornale e on line pubblichiamo anche una riflessione sull’importanza di sottoporsi alla vaccinazione firmata dal professor Alberto Mantovani, presidente della Fondazione Humanitas per la ricerca, eminente scienziato di fama internazionale, che ringrazio infinitamente per aver condiviso con noi quest’iniziativa . Non a caso le sue considerazioni - le stesse per i prossimi trenta giorni - compariranno sotto l’occhiello «Repetita iuvant», proprio perché alimentiamo la speranza che il ripetere concetti così importanti, espressi con così grande semplicità e chiarezza, possa convincere anche uno soltanto di chi oggi non prende minimamente in considerazione l’ipotesi di immunizzarsi dal virus.

Che ciò accada anche nella nostra terra non può lasciare indifferenti, perché al netto della retorica che ci «perseguita» ormai da molti mesi, noi bergamaschi abbiamo davvero conosciuto la gravità dell’epidemia, che in qualche modo ha «toccato nella carne» ciascuno di noi. Il virus ci ha piegato fin quasi a schiantarci, ma non è riuscito a spezzarci, proprio perché la resilienza di cui siamo capaci di fronte ad eventi così traumatici è il segno di un’inclinazione non comune a coglierne la forza dirompente e a mettere in atto tutte le strategie necessarie per contenerne i danni. Se ciò è avvenuto nei terribili mesi di inizio pandemia, quando la speranza di poter contare su un vaccino era più che remota, non si capisce perché oggi, avendo a disposizione almeno tre «farmaci» sulla cui validità non si discute (al di là delle incontenibili fake news che popolano la Rete, i social e purtroppo gran parte dei talk show), ci si debba confrontare con chi non riconosce minimamente lo sforzo che la comunità scientifica ha fatto negli ultimi diciotto mesi, con risultati certi e certificati sotto gli occhi di tutti. Spiace ancor più che anche in casa nostra ci siano personaggi pubblici di un certo rilievo che, pur vaccinati, hanno garbatamente declinato il nostro invito a sostenere la vaccinazione proprio per non scontentare quella parte di fans che di iniezioni non ne vuole sapere. Una scelta che non fa loro onore.

Che anche in Bergamasca, dove si sta molto meglio che altrove, ci sia bisogno di intensificare sensibilmente la campagna vaccinale, lo dicono i numeri, buon ultimi quelli contenuti nel report settimanale che l’Ats ha reso noto ieri. Cifre alla mano, il tasso di incidenza nella settimana tra il 17 e il 23 novembre è pari a 57 nuovi casi ogni 100.000 abitanti, un dato che conferma la tendenziale crescita della curva epidemica rilevata già la scorsa settimana, quando i nuovi casi erano 40 ogni 100.000 abitanti, contro i 26 di quella precedente. Uno scostamento che, in termini percentuali, è passato da -29,2% di tre settimane fa a +41,4% degli ultimi sette giorni. Quanto al numero di Comuni con zero casi incidenti negli ultimi sette giorni si è fermi a 123 (il 50,6% del totale), contro i 130 (53,5%) della scorsa settimana, i 146 (60,1%) di due settimane fa e i 168 (69,1%) di tre settimane fa. Per non parlare dei 210 Comuni «Covid free» rilevati nella prima settimana di luglio. Numeri che parlano da soli, senza contare che dal rapporto tra il numero dei positivi e i tamponi molecolari effettuati emerge nettamente che i non vaccinati presentano livelli di positività di gran lunga superiori rispetto a chi, invece, si è vaccinato, situazione peraltro confermata anche a livello di ricoveri ospedalieri, soprattutto nelle terapie intensive.

E giusto per buttarla sui soldi, tema spesso populista ma in certi casi illuminante, vale la pena segnalare cosa costa alla comunità un paziente Covid curato in ospedale. Secondo un’indagine promossa dall’Università «Cattaneo» di Castellanza nel luglio 2020, in collaborazione con l’Azienda ospedaliera di Alessandria e l’Associazione ingegneri gestionali in sanità, si va da un minimo di 9.157 euro per una degenza media di circa 18 giorni a bassa intensità di cure fino a 22.210 euro per 23 giorni ad alta intensità di cure, passando per i 14.873 euro di circa 15 giorni a media intensità di cure, senza contare le centinaia di migliaia di euro che gli ospedali hanno dovuto spendere per i dispositivi di protezione individuali e le altre apparecchiature necessarie (soprattutto caschi C-Pap, nutri-pompe e ventilatori polmonari). Insomma ci sarebbero tutte le carte in regola per fare qualche ragionamento e trarne qualche conclusione. Pensiamoci.

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