Rapita in Kenya
Italia nel mirino

Chi ha rapito in Kenya Silvia Costanza Romano, volontaria milanese di 23 anni, è andato sul sicuro. Sapeva cioè dove trovare la giovane e a quale ora, in un edificio nel villaggio rurale di Chakama, a un’ottantina di chilometri dalla più nota Malindi. Silvia è alla sua seconda esperienza in Kenya: lavora a un programma d’istruzione in un orfanotrofio, questa volta per conto dell’associazione marchigiana «Africa Milele». I sospetti del rapimento cadono su due organizzazioni: la prima e più accreditata sono gli «Shabaab» (la parola significa i giovani), gruppo terroristico jihadista sunnita attivo in Somalia dal 2006, riconosciuto come cellula locale di Al Qaeda. Proprio in Somalia l’Italia è operativa da alcuni anni, ricostruendo l’esercito e le istituzioni statali e sottraendo terreno agli Shabaab che comandavano a Mogadiscio. Silvia Costanza Romano potrebbe essere stata rapita da una banda locale e poi venduta agli jihadisti. Il sequestro sarebbe una ritorsione contro il nostro impegno nel Corno d’Africa.

La seconda ipotesi chiama in causa i pastori Orma, musulmani semi-nomadi che abitano un territorio colpito dalla siccità. Per raccogliere soldi sono ora dediti a rapine e rapimenti. La drammatica vicenda è stata commentata su Facebook dai soliti cretini con insulti ignobili alla volontaria, a conferma che in Italia non abbiamo solo un problema di conti pubblici ma anche di idiozia privata. Silvia Costanza Romano merita invece gli onori di chi con passione ha scelto un impegno difficile e in luoghi scomodi. È la rappresentante di un mondo di cui dovremmo essere fieri, che opera con dedizione e competenza: la giovane milanese ha un diploma universitario in Mediazione linguistica e per la sicurezza sociale ed è in Africa con una piccola associazione onlus.

I cooperanti italiani sono 6.400, presenti in 116 Paesi, la maggioranza in Africa e in America latina. Altrettanti lavorano in Italia. È un mondo sempre più al femminile. Le donne infatti sono in prevalenza (54%) e l’86% è all’estero. Negli anni ’70 le organizzazioni non governative (ong) erano una ventina, oggi quelle riconosciute (con accesso al finanziamento pubblico) sono 248. Le prime dieci ong muovono mezzo miliardo di euro (secondo i bilanci) per realizzare oltre 2.200 progetti. Di tutti i fondi raccolti, oltre la metà sono pubblici nazionali, europei e internazionali, il resto arriva da donatori individuali, fondazioni e aziende. Fra i Paesi dove lavorano di più le ong italiane ci sono il Mozambico con 43 progetti nel 2016, il Kenya (42) e il Senegal (38). I cooperanti non vanno confusi con i volontari come Silvia: hanno infatti un inquadramento professionale. All’estero il 93% ha un contratto locale e il restante 7% collabora a progetto. Non si diventa ricchi con questo mestiere che richiede capacità di adattamento, conoscenza delle lingue e resistenza fisica: i cooperanti, a seconda della posizione ricoperta, percepiscono uno stipendio annuo lordo compreso tra 12 mila e i 60 mila euro (per le posizioni apicali). I volontari invece ricevono generalmente solo un rimborso spese: il loro è un impegno a tempo, affiancato al lavoro.

I progetti realizzati dalle ong e dalle associazioni coprono diversi ambiti: dalla scuola alla sanità, dall’agricoltura alla creazione di micro-imprese. Salvano vite e generano posti di lavoro, ma se ne parla solo quando accadono fatti negativi, come nel caso delle ong accusate di favorire l’immigrazione clandestina con le loro navi nel Mediterraneo (inchieste poi finite nel nulla). L’Italia invece ha una tradizione importante nella cooperazione (senza dimenticare anche le miriadi di iniziative delle migliaia di missionari che oltre a evangelizzare costruiscono opere per rispondere ai bisogni locali) della quale andare orgogliosi. «Aiutiamoli a casa loro» in questo caso non è uno slogan elettorale ma pratica quotidiana. Ci auguriamo che Silvia Costanza Romano possa tornare presto tra quei bambini che la facevano sorridere, in mezzo alla povertà di un villaggio.

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