Ripartiamo con forza
Anche se costa fatica

Dunque, da ieri, mercoledì 3 giugno, (quasi) tutto si è rimesso in movimento. E anche «L’Eco», da venerdì 5, tornerà alla consueta foliazione, pur continuando a seguire passo passo, come fatto fino ad ora, gli effetti di questa tragica pandemia. Giusto così? La risposta di massima non può che essere positiva: dopo il lungo lockdown, pensare di tener «chiuso» ancora un po’ sarebbe stato molto difficile. Da una parte bisognava iniziare ad arginare (o almeno a provarci) le disastrose conseguenze economiche dell’epidemia, dall’altra era necessario incominciare a riportare ordine nella nostra «mente», in relazione con noi stessi e, soprattutto, con gli altri. Settimane di «isolamento» in casa, con la socialità ridotta a poco più di zero, non hanno certo fatto bene a nessuno, anche se molti non se ne sono ancora accorti. Che i più fragili - i bambini, gli anziani e i malati neurologici in particolare . abbiano anch’essi pagato un prezzo alla solitudine di questi mesi non è forse finito sulle cronache dei giornali come richiederebbe la dimensione reale del problema, ma è certamente chiaro agli addetti ai lavori, consultori compresi, che si sono visti letteralmente travolgere dal fenomeno. E chi ancora non se ne è accorto, lo farà presto, perché sottotraccia, la «sindrome della capanna» ha colpito un po’ tutti, anche se in forme diverse. Ripartire, quindi, era una sorta di necessità improcrastinabile.

Ora a preoccupare è il «come», complice anche l’approssimazione con cui molti media hanno trattato le dichiarazioni del direttore della Terapia intensiva dell’ospedale San Raffaele di Milano, Alberto Zangrillo, secondo cui il virus è clinicamente cambiato. In realtà, Zangrillo non ha mai detto che il virus è mutato, ma che è cambiata l’interazione tra il virus e il soggetto che lo «ospita». Perché questo sia avvenuto, nessuno ancora lo sa. Può darsi che tutto ciò derivi da una caratteristica differente del virus, che nessuno ha tuttavia ancora dimostrato - o da caratteristiche diverse a livello recettivo del soggetto colpito dal coronavirus.

E il primo a sottolineare che le sue affermazioni non erano certo un «liberi tutti» è stato proprio Zangrillo, secondo cui continuare a rispettare i comportamenti virtuosi tenuti fino ad oggi porterà, entro un mese, a risultati ancora migliori di quelli che si stanno registrando in questi ultimi giorni. Ci sono ancora variazioni «sensibili» da un giorno con l’altro, ma il trend è comunque tranquillizzante. Lo studio del «San Raffaele», curato dal prof. Massimo Clementi, dimostra chiaramente che tra i pazienti dei primi di marzo e quelli di fine maggio la carica virale è «straordinariamente» più bassa. Il che è innegabilmente una buona notizia, anche se purtroppo non si conosca ancora il perché di questa situazione.

Dal punto di vista genetico, il virus - che comunque, checché se ne dica, è ancora ben in circolazione – non ha subito mutazioni rilevanti, anche se una miglior coabitazione tra il Covid-19 e chi, suo malgrado, lo ospita è oggettiva. Aggiungiamoci, poi, che sul fronte delle cure oggi siamo molto più preparati rispetto ai primi di marzo, grazie soprattutto ad un uso magistrale di cortisone ed eparina. Chiarito cosa dicono le evidenze scientifiche, meglio quindi proseguire tenendo la guardia bene alta: distanziamento, mascherine, lavaggio delle mani (più e più volte al giorno), baci e abbracci solo virtuali. Tanta prudenza e altrettanto buon senso.

Ma ora c’è da curare anche la nostra economia, alle prese con una crisi drammatica, e a cui abbiamo dedicato l’inserto che avete trovato oggi in edicola con il giornale. La speranza è che le previsioni di Confindustria Bergamo - sarà una crisi a «V» stretta, con una caduta rapida e una risalita altrettanto veloce - siano fondate, ma la situazione attuale fotografata dalle diverse associazioni di categoria mostra una sfilza di numeri in negativo che fanno davvero paura: quasi 50 mila posti di lavoro a rischio nel terziario, con un valore aggiunto di oltre 2 miliardi e 200 milioni molto vicino a trasformarsi in cenere, a cui vanno aggiunte alcune decine di migliaia di posti di lavoro «traballanti» nel settore industriale.

Ripartire non è facile anche perché il «piano Marshall» varato dal governo e il «new deal» tracciato ieri dal premier Conte - benché imponenti - non sembrano ancora sufficienti a soddisfare i bisogni delle imprese. Ma dalla nostra abbiamo che siamo bergamaschi e, implicitamente, ce lo ha ricordato anche ieri il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, attribuendo anche a due di noi il cavalierato al merito della Repubblica, in rappresentanza di un impegno corale di una comunità nella lotta al coronavirus «nel nome della solidarietà e dei valori costituzionali».

La cultura del lavoro e dell’impresa ce l’abbiamo nel sangue, così come quella della vicinanza e della condivisione, attributi fondamentali per iniziare la ripresa, la risalita. E non è un caso che tra i migliori alpinisti del mondo ci sia più di un bergamasco. Sappiamo cos’è la fatica e quanto pesano gli zaini sulle spalle lungo gli impervi sentieri di montagna, lungo gli impervi sentieri della vita. E saperlo - e saperlo bene - significa partire già con il piede giusto. Avanti con determinazione e fierezza.

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