Salvini, la strada
ora va un salita

Questa crisi di governo si segnalerà come straordinariamente confusa e contraddittoria: il livello di tatticismo che hanno raggiunto i vari protagonisti, di maggioranza e di opposizione nessuno escluso, vanno molto al di là del ragionevole. E tuttavia qualche elemento politico di sostanza si riesce a vedere pur in mezzo alla nebbia della propaganda. La sostanza è che ieri Pd, M5S e Leu hanno votato insieme per infliggere a Matteo Salvini una prima sconfitta: si votava in Senato sulla data delle comunicazioni con cui Conte ufficializzerà in Senato la crisi di governo, e la richiesta di Salvini, di Forza Italia e di Fratelli d’Italia di tenere una seduta di Palazzo Madama alla vigilia di Ferragosto è stata messa in minoranza dai tre partiti di cui sopra.

Conte insomma parlerà solo il 20 agosto, a ferie finite. E questo ci dice che c’è una forza delle cose che sta portando i democratici e i 5 Stelle a porre insieme un argine alla crescita elettorale della Lega e alla conquista di Palazzo Chigi da parte di Matteo Salvini. Tanto è vero che ormai nel Pd va emergendo l’idea non più di un «governo di transizione» che ci conduca a tempo debito alle elezioni anticipate – come avevamo ascoltato all’inizio di questa vicenda – ma addirittura ad un governo di legislatura che duri fino al 2023 e che elegga il nuovo Capo dello Stato alla scadenza del settennato di Mattarella (così impedendo a Salvini di eleggere un «suo» presidente).

I 5 Stelle per il momento insistono nel non esporsi su questo punto ma tutti sanno che sono disposti a non pochi sacrifici pur di non andare alle elezioni dopo le ripetute sconfitte dei mesi scorsi e il dimezzamento dei voti alle ultime europee. E dunque insieme grillini e sinistra ieri hanno votato e hanno messo in minoranza Salvini. Il quale ha reagito calando una nuova carta. Ha detto a Di Maio: votiamo insieme la prossima settimana il taglio dei parlamentari e poi andiamo subito a votare. Curiosa proposta: votare (la data prevista è il 9 settembre) la riforma costituzionale sul numero dei senatori e dei deputati non consente in alcun modo di andare a votare subito ma anzi sposta le urne al 2020 quando si saranno esperite le pratiche per un eventuale referendum e si saranno ridisegnati i nuovi collegi elettorali. E dunque che senso ha dire «votiamo subito»? Siccome siamo tutti spettatori intorno ad un tavolo da poker, anche questa è una mossa da tavolo verde, un bluff, un modo per prendere un’iniziativa e cercare di spiazzare gli avversari. Tanto è vero che i grillini hanno subito risposto a Salvini: tu ritira la mozione di sfiducia al governo e poi possiamo parlarne. Il risultato è zero, insomma. Possiamo però dire che Salvini si è reso conto che la sua strada è diventata improvvisamente in salita, tant’è che non si dimette da ministro dell’Interno del governo che vuole mandare a casa e nemmeno fa dimettere i suoi ministri, viceministri e sottosegretari. Resta al Viminale nella consapevolezza che, a questo punto, lasciare il potere significherebbe rimanere in mezzo alla strada in attesa che le urne – chissà quando – lo riportino in auge.

Sta di fatto che il partito del «non voto» ha guadagnato un poco di tempo in più per vedere se sia possibile costruire qualcosa insieme. Le contraddizioni sono tante e non è facile superarle: basta vedere quali contrarietà abbia suscitato l’iniziativa di Matteo Renzi il quale ora accede addirittura all’idea di un governo politico di lunga durata pur di fermare Salvini e lasciare andare avanti queste Camere per far loro eleggere il nuovo presidente della Repubblica. Non è ancora la crisi più pazza del mondo, ma certo ci si sta avvicinando a passi veloci.

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