Salvini va a processo, ma la politica è assente sui grandi temi umanitari

Com’era prevedibile - visti i numeri in Senato - Matteo Salvini andrà a processo con le accuse di sequestro di persona e rifiuto di atti di ufficio per il caso della nave Open Arms. Naturalmente, com’è nello spirito dell’ex ministro, per nulla pentito, un fatto avverso viene trasformato in un’occasione di rivalsa. «Contro di me festeggiano i Palamara, i vigliacchi, gli scafisti e chi ha preferito la poltrona alla dignità. Sono orgoglioso di aver difeso l’Italia: lo rifarei e lo rifarò. Vado avanti, a testa alta e con la coscienza pulita», ha commentato a caldo il leader della Lega, che ha difeso quella decisione con orgoglio parlando di «interesse pubblico».

Sulle vicende e le conseguenze dei porti chiusi ci siamo espressi più volte in passato: una decisione che va contro il diritto umanitario e le più elementari regole della navigazione, poiché i naufraghi in mare vanno salvati, trattandosi di essere umani. Non è necessario nemmeno essere cristiani, ma semplicemente far parte del consorzio umano e aderire al diritto naturale, da cui deriva quella legge del mare che impone di salvare dei naufraghi.

Ma il governo gialloverde presieduto da Conte, di cui faceva parte Salvini, alleato dei Cinque Stelle, non solo ha negato l’approdo alle imbarcazioni che portavano quel carico di umanità dolente, ma addirittura è arrivato a punire (e le leggi sono ancora in vigore) chi soccorreva i naufraghi, imponendo multe a tutti coloro che si sarebbero imbattuti via mare in un uomo in mare, addirittura con il sequestro dell’imbarcazione. Dunque un atto di salvataggio si sarebbe tramutato in un atto di eroismo (e ci sono stati).

Detto questo, pensiamo che la vicenda Open Arms, bloccata per giorni in mare con i suoi naufraghi stremati, si commentasse da sé e non avesse bisogno di una sentenza della magistratura, semmai un dibattito molto più approfondito in Parlamento e soprattutto una decisione forte da parte del governo nel revocare quelle leggi ingiuste e perniciose (che finora si guarda bene dal prendere, per evitare i mal di pancia dell’anima più xenofoba dei Cinque Stelle, l’altro comprimario con una parte in commedia nella grottesca e drammatica vicenda Open Arms). Non è la prima volta che un verdetto potrebbe avere conseguenze politiche incontrollate e incontrollabili. Si tratta di questioni umanitarie che meriterebbero l’intervento della politica alta e non quello del terzo potere in sua supplenza.

Qualcosa del genere è avvenuta a proposito di recenti fatti legati all’eutanasia, con il giudizio della Consulta sul decreto sicurezza, oppure con il caso Palamara citato dallo stesso Salvini. In questi casi il passaggio dall’aula parlamentare all’aula giudiziaria potrebbe provocare effetti assolutamente imprevedibili, incontrollati e incontrollabili, il primo dei quali è creare una sorta di martire politico, a cui già si atteggia l’ex ministro degli Interni, abilissimo nel rovesciare la frittata agitando rosari, felpe o cappellini della Guardia costiera. Ieri nell’aula di Palazzo Madama è arrivato perfino a dire che chi apre i porti è responsabile della morte di migliaia di vite umane, quando è assodato che i naufraghi – come si vede anche in queste settimane – partono lo stesso nonostante i porti chiusi. Perché è la disperazione a muovere queste anime derelitte cui noi neghiamo perfino il salvataggio in mare trasformando il Mediterraneo in una tomba enorme a cielo aperto e non i porti aperti.

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