Bergamo non può
perdere il tram

La prima volta che un moderno tram ha fatto la sua comparsa a Bergamo era metà Anni ’80. Arrivava da Strasburgo e per qualche giorno viene parcheggiato in piazza Matteotti a mo’ di prova tangibile di un futuro a portata di mano. Anzi, di rotaia. Negli anni a venire, Francia, Germania, e più recentemente Gran Bretagna, hanno investito in modo importante sui tram, cambiando in modo radicale non solo la mobilità di migliaia di persone ma anche il volto dei centri urbani.

Perché il tram non è solo un mezzo di trasporto di massa tra i più efficaci ed ecologici, ma anche un vero e proprio elemento ordinativo. Di quelli cioè capaci di dare un nuovo assetto sia sul piano della mobilità che dell’urbanistica, passando per l’arredo urbano. In gran parte degli invidiatissimi centri urbani pedonalizzati delle città europee circola un tram, e non è un caso.

Inutile ricordare che su questo versante l’Italia è partita in colpevole ritardo, peccando cioè di una necessaria visione strategica: a parte la presenza assolutamente storica in alcune città come Torino e Milano ben poco si è fatto fino alla fine del secolo scorso. Poi qualcosa si è finalmente sbloccato, e non solo i fondi: Bergamo in questo senso è stato un caposaldo di questo new deal, perseguendo con tenacia la realizzazione di una prima linea tranviaria sul sedime della fu ferrovia della Valle Seriana e pensando subito di fare altrettanto con il gemello della Valle Brembana. Strada facendo è invece finito nel cassetto il tracciato urbano, ovvero l’asse est-ovest dal nuovo ospedale a San Fermo, ed è un peccato.

Ma torniamo al punto. In dieci anni la T1 ha trasportato qualcosa come 33,5 milioni di passeggeri, un successo indiscusso che è servito come ottimo biglietto da visita per provare ad attingere ai fondi statali per la T2, direzione Villa d’Almè. Poi per carità, tutto è assolutamente migliorabile: il servizio può essere esteso nella fascia oraria, le corse diventare più frequenti, eccetera... Ma la base di partenza, lo dicono i numeri, è ottima. E lo confermano altri numeri, quelli di un bilancio in utile per il secondo anno consecutivo. Senza scendere nello sprofondo romano di Atac, nel settore del trasporto pubblico non è proprio una cosa così normale. Tanto meno dopo solo 10 anni dal via.

Con questi presupposti era normale - sacrosanto - che Bergamo venisse ammessa ai finanziamenti per la T2. Se non qui, dove, verrebbe da dire. Ma questa volta c’è un ulteriore elemento in più, e va sottolineato: la totale convergenza, multipartisan, sul progetto. Ed è stato questo che ha permesso alla richiesta di finanziamenti di arrivare fino in fondo superando i carpiati governativi: perché è stata supportata davvero da tutti, senza distinzione di parte o associazione. Una ricetta che andrebbe imparata a memoria anche per le prossime sfide, e saranno tante, dove dividersi porta solo ad indebolirsi.

Questo è forse il messaggio più importante di questa positiva vicenda: ragionare sulla bontà di un mezzo del genere e sui vantaggi per l’ambiente e la mobilità è persino pleonastico. Meglio semmai ripartire compatti verso i nuovi obiettivi, dal treno per Orio (sul quale le posizioni sono più sfumate), il raddoppio della Ponte-Montello e la conseguente trasformazione in servizio (para)metropolitano della ferrovia. E anche, perché no, su eventuali estensioni delle linee tranviarie: ma a una condizione fondamentale, quella che la sostenibilità sia anche economica, suffragata cioè da numeri che giustifichino l’investimento e non su tesi di principio o campanile. Perché con questi (e i prossimi) chiari di luna, se i conti non tornano fin dall’inizio il rischio è quello che il tram torni ad assumere un antico nome: desiderio.

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