Se il male non ha
l’ultima parola

Il male non ha l’ultima parola. Non l’avrà sulla pandemia di Covid, dopo che in tempi record sono stati individuati vaccini di contrasto e se continueranno a prevalere i comportamenti corretti per prevenire i contagi. Ma nemmeno su casi singoli tragici, come l’omicidio di don Roberto Malgesini, 51 anni, ucciso il 15 settembre scorso all’alba a Como da un immigrato tunisino irregolare, appartenente all’ampia schiera di poveri che il sacerdote di Morbegno aiutava, garantendo viveri e un giaciglio alla maggioranza. «Prete di strada» lo hanno definito i media nei giorni del delitto, ma per chi lo conosceva bene era soprattutto il «prete del sorriso, una persona lieve» che portava ogni giorno le fatiche di stare accanto a uomini e donne privi di tutto, con un’unica, grande certezza: «Siamo persone piene di grazia, perché piene del coraggio di Dio», come amava ripetere don Roberto. La sua morte ha provocato un dolore che forse il tempo lenirà, nei suoi familiari, nel suo vescovo Oscar Cantoni («era per me come un figlio») e nelle persone che aiutava a portare le croci di vite deragliate, ma non ha fermato la sua opera.

Anzi, l’ha potenziata: i suoi collaboratori oggi devono gestire un gran numero di candidature per il servizio di volontariato nei luoghi degli ultimi e nuovi donatori che si presentano a sorpresa, come il pasticciere che ha portato panettoni artigianali per rendere più dolce il Natale dei poveri. Sono stati aperti anche nuovi dormitori invernali.

La scomparsa del «prete del sorriso» ha generato pure una scossa politica nell’amministrazione comunale di Como targata centrodestra: Fratelli d’Italia ha infatti votato con l’opposizione a favore della concessione di locali pubblici all’associazione «Como accoglie» che garantisce sostegno a migranti e senzatetto in generale, a cento passi dalla chiesa di don Roberto. Che non fosse solo un prete di strada lo si evince dai luoghi dove portava la sua testimonianza: tra questi c’era il grande ospedale di Como «Sant’Anna», che raggiungeva con la sua vecchia Panda accompagnando poveri e anziani per esami e terapie. Da medici e infermieri gli veniva richiesta una preghiera o una benedizione. Ma anche la Casa circondariale del Bassone nella città lacustre, dove il sacerdote andava a celebrare Messa quando era assente il cappellano. I detenuti a Natale hanno promosso una raccolta di denaro per aiutare le opere orfane del suo fondatore: non avevano molto da offrire ma hanno dato quello che per loro è essenziale, da pochi euro fino a dieci. Un gesto di grande valore e fatto con il cuore: non hanno rinunciato al superfluo ma a quello che gli poteva essere indispensabile per alcuni giorni. Un segno di cambiamento umano, quale dovrebbe essere l’obiettivo della detenzione, non solo di espiazione della pena. Il sabato prima essere ucciso era il 12 settembre e don Malgesini celebrò Messa nella sezione femminile. «Si rimaneva colpiti dalla bontà che i suoi occhi erano capaci di esprimere - ricorda una donna che era presente - e la sua figura mite strideva con l’ambiente del carcere. Non era un uomo di gesti appariscenti ma con poco faceva sentire che si era preparato con cura per noi».

Il male non ha l’ultima parola se si è capaci di vincere il rancore o peggio la sete di vendetta per azioni di cui si è vittime, una strada a fondo chiuso. Il desiderio di costruire qualcosa di nuovo e l’apertura agli altri possono invece non solo lenire le piaghe ma far scoprire una vita meno incarognita. Ne sono testimoni tante persone che anche nella nostra provincia, a partire da ferite personali o da un grave lutto familiare, hanno saputo lasciare aperta la porta al desiderio di bene, realizzando opere a sostegno del prossimo. Il male non ha l’ultima parola.

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