Se in Rai arriva
la resa dei conti

Si dice che per lunedì, dunque a elezioni regionali fatte, il ministro del Tesoro Gualtieri abbia convocato l’amministratore delegato della Rai Salini. E le voci che girano riferiscono che in quell’occasione il ministro darà il benservito al manager cui rimarrebbe solo la scelta di essere licenziato o di dimettersi spontaneamente. Altre indiscrezioni dicono invece che sia stato Salini a chieder di essere ricevuto dal ministro «per fare il punto della situazione». Vai a sapere. Nell’impazzimento della politica di questa legislatura, di per sé un incontro tra il capo azienda del servizio pubblico radiotelevisivo e il suo editore, cioè il ministero del Tesoro proprietario del 99 per cento delle azioni Rai, sia la cosa più normale che ci si possa aspettare. E invece no.

Perché la Rai balla da mesi allo stesso ritmo di una politica isterica che non riesce a trovare un equilibrio. Non solo. A causa della repentina crisi di agosto, quella che oggi si trova a confrontarsi con il governo giallo-rosso è la Rai disegnata dall’esecutivo giallo-verde con reti e testate distribuite tra grillini e leghisti. Il Pd chiede da tempo che la situazione venga riequilibrata, ma senza finora avere avuto soddisfazione: secondo via del Nazareno l’informazione della Tv di Stato sarebbe troppo sbilanciata a favore dei grillini (Tg1, Tg3) o dei leghisti (Tg2, TgR) senza contare che molti superstiti della stagione renziana sono rimasti ai loro posti di comando.

Risultato: il partito di Zingaretti si sente sottorappresentato, e quando vede che, secondo le statistiche, il leader più presente nelle trasmissioni è Salvini e che Zingaretti medesimo è l’ultimo della lista, non riesce a trattenere la rabbia. Il risultato di questa situazione è che l’amministratore delegato si trova tra due fuochi: da una parte il centrodestra lo accusa di essere troppo obbediente al M5S e al Pd; dall’altra il Pd gli rinfaccia un’eccessiva attenzione ai grillini e ai leghisti, e lui – caduto Di Maio – non ha più uno sponsor che lo sostenga. Che l’azienda, in questo bailamme, stia andando fuori controllo è evidente a tutti: e non è detto che gli episodi di cui si è accorto il grande pubblico (le gaffe sessiste di Amadeus, la «svista» di uno spot di Porta a Porta con Salvini nel bel mezzo di una partita, e altro) siano le più gravi. Ben più serie preoccupazioni stanno suscitando gli ascolti, soprattutto dei telegiornali, che non vanno bene e che deprimono la raccolta pubblicitaria.

Né la riforma industriale proposta da Salini che punta a trasformare la Rai in una moderna media company, ha potuto finora dispiegarsi: le nomine delle strutture che dovrebbero attuare la riforma sono state fatte solo due settimane fa e perdipiù hanno visto l’amministratore delegato messo in minoranza dal consiglio di amministrazione (il cui parere però in quella materia è solo consultivo, a differenza di quanto si decide sui vertici delle strutture giornalistiche). L’impressione è dunque che, in assenza di un equilibrio politico che metta in pace la Rai, vada in crisi anche la continuità aziendale, la sua produttività ed efficacia che pure ha sempre resistito anche alle bufere più forti del passato. Ed è anche questo che il Pd e Gualtieri rimproverano a Salini: di non essere in grado di governare la barca con sufficiente fermezza. Vedremo dunque se dall’incontro di lunedì uscirà un Salini licenziato (con l’immediato problema di scegliere il sostituto) o addirittura un consiglio di amministrazione azzerato. O se invece dal cilindro dell’ad sortiranno alcune nomine nei telegiornali che plachino il Pd e non irritino gli altri. È pur vero che lunedì mattina conosceremo i risultati elettorali e, in caso di vittoria di Salvini in Emilia-Romagna, sarebbe assai bizzarro procedere a nomine di direttori graditi al centrosinistra…

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