Si torna sui banchi
Le buone notizie

Comincia la scuola: non è semplicemente la solita notizia di ogni anno. È invece la bella notizia che arriva puntuale a questo punto dell’anno. Perché è una bella notizia quando invece ci vengono messi davanti elenchi di cose che non funzionano, di ritardi, di lamentele? Perché bisogna avere il coraggio e soprattutto l’onestà di cambiare lo sguardo che, quasi di default, riserviamo alla scuola italiana come istituzione. Proviamo invece a guardarla come un «più» e non come una sequenza infinita di «meno». Non è un’impresa difficile. Prendiamo, per esempio, qualche numero fornito dall’Ufficio scolastico territoriale di Bergamo.

D’accordo questo è un territorio che funziona meglio di tanti altri; e d’accordo che si tratta di informazioni «di parte» perché fornite da chi è responsabile del funzionamento della macchina scolastica. Facciamoci pure la tara, dunque. Ma i numeri sono numeri e raccontano di una realtà che è per fortuna profondamente migliore di quanto siamo un po’ pigramente, abituati a pensare.

Tra i numeri, per esempio, troviamo quello degli insegnanti di sostegno: sono 2.374 nelle scuole del territorio di Bergamo, su un totale di poco più di 13 mila docenti. Alla loro professionalità sono affidati 4.748 studenti disabili, di cui 1.241 con disabilità grave. È un grande impegno quello che la scuola italiana si è assunta nei confronti dei ragazzi in quella situazione: un impegno che ha un valore umano oltre che didattico. Non ci sono altri Paesi in Europa dove la scuola abbia assunto una simile responsabilità: altrove, comprese le civilissime Olanda e Finlandia in genere tanto solerti nella difesa dei diritti individuali, vige ancora il criterio maggioritario delle scuole speciali, che rappresentano di fatto un ghetto per ragazzi con disabilità. In Italia sono quasi sparite e si parla semmai di scuole potenziate che coinvolgono, per stare al territorio bergamasco, 58 ragazzi.

Il «più» che la scuola italiana ha saputo mettere in campo in questo caso riguarda tutti: perché è un fattore di crescita umana per ogni ragazzo relazionarsi con coetanei disabili. È un fattore di educazione civica in atto e non solo sulla carta. C’è poi il fattore multietnico: le classi italiane sono dei crogiuoli di diversità (nel territorio di Bergamo il 27% dei bambini delle scuole dell’infanzia sono stranieri; il 20% alle primarie). Il che richiede quotidianamente un surplus di fatica e di attenzione. Ma come potremo mai misurare la portata positiva nei processi di integrazione che la scuola ha saputo garantire? Se l’Italia, anche qui a differenza di tanti altri Paesi vicini che spesso indichiamo a modelli, non ha visto la creazione di ghetti, di conflitti identitari, gran parte del merito va alla scuola che ha saputo normalizzare la relazione con i nuovi arrivati.

Infine c’è un altro «più» di cui bisogna dar merito alla scuola: i suoi insegnanti. Sono persone a cui affidiamo i nostri figli, che vengono tutti i giorni sottoposte ad ogni tipo di sollecitazione. Che devono impegnarsi per trasmettere il sapere ai ragazzi, ma insieme devono fare i conti con i molteplici disturbi dell’apprendimento. Che devono accendere passioni e insieme vigilare e combattere il bullismo. Che spesso devono fare i conti con dei genitori pretenziosi e rimasti eterni adolescenti. Il tutto in cambio di uno stipendio modesto, che beffa ulteriore, causa loro anche un disprezzo sociale. Ma cosa vale di più nella vita di un Paese e di una comunità di un insegnante appassionato alla vita e al futuro dei ragazzi che ha davanti?

Oggi ricominciano le scuole. Tutte queste esperienze e queste dinamiche si rimettono in moto. Crediamoci, è davvero una bella notizia per tutti.

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