Sicurezza sacrificata
a favore dei profitti

«Devo spendere il meno possibile. Sono entrati i tedeschi, sono entrati i cinesi, devo ridurre al massimo i costi... lo capisci o non lo capisci?». L’intercettazione di un manager addetto alle manutenzioni indagato per il disastro del ponte Morandi a uno dei suoi uomini è più eloquente di tante pagine. Spiega perché la manutenzione delle autostrade e dei viadotti in Italia è quella che è: un colabrodo.

Si trattava semplicemente di risparmiare. Le ragioni commerciali venivano in cima rispetto alla sicurezza da garantire, «in spregio all’affidamento del pubblico servizio», come ha scritto nelle sua ordinanza di provvedimenti cautelari la giudice Angela Maria Nutini. Gli interventi di manutenzione infatti prevedono dei costi. Ovvio. Per abbassare i costi, si sarebbe semplicemente deciso che le opere di cui prendersi cura, dai viadotti alle strade, non fossero poi così malandate. E dunque si è preferita la sciatteria all’efficienza. Si sono truccate le carte. Una scelta che può portare a disastri come quelli del Ponte Morandi.

La decisione della Procura genovese di emettere provvedimenti cautelari nei confronti di dirigenti di Autostrade per l’Italia e di Spea, la società del gruppo adibita alle manutenzioni sulla rete autostradale, ha provocato un terremoto. I consigli di amministrazione si sono dimessi. Ma se le indagini venissero comprovate nelle apposite sedi giudiziarie, il panorama è davvero desolante. L’Italia delle costruzioni, uno dei settori in cui siamo leader in tutto il mondo, più attenta al margine di guadagno che alla vita delle persone «in spregio all’affidamento del pubblico servizio».

In questa storia di report alterati e ammorbiditi, depistaggi, di informazioni strutturali nascoste persino al ministero dei Trasporti, di controllati che mentono ai controllori, emerge una verità drammatica che ci porta ad alcune considerazioni. Quando si tratta di gestire servizi collettivi, di pubblica utilità, l’affidare tali servizi - a maggior ragione se essenziali e delicati come un viadotto autostradale - a dei privati comporta dei rischi enormi. Poiché i privati, spesso, se le verità venissero accertate, antepongono ragioni di profitto e di concorrenza commerciale alla salute, alla sicurezza e perfino alla vita dei cittadini. Qui si parla addirittura di un modello diffuso di riduzione dei costi per la manutenzione. Un principio imperdonabile, che infatti andrà sanzionato e punito nelle sedi competenti. Tornare al pubblico «puro» per questi servizi, dopo l’ubriacatura degli anni ’90 delle privatizzazioni? Di certo, vanno inoltre riviste le regole di controllo da parte del ministero dei Trasporti, visto quel che è successo negli anni passati. Evidentemente, il sistema presentava numerose falle e sono necessari meccanismi più stringenti e severi.

La sequela di dimissioni nelle varie società coinvolte è un segno di responsabilità di fronte a ciò che sta accadendo, purché non sia finalizzato solo a creare un inutile polverone. Non basta esprimere «sgomento e turbamento». Bisogna passare ai fatti e alle ammissioni di responsabilità. I morti di Genova chiedono giustizia. Naturalmente andrà preservata anche la garanzia dei posti di lavoro di chi con quelle mancanze e irresponsabilità non c’entra nulla: operai, ingegneri, tecnici, progettisti e quant’altro, un esercito di lavoratori che in questo terremoto rischia di pagare per tutti.

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