Siria, la denuncia
La Chiesa è sola

Il massacro si sta compiendo nel silenzio più assoluto. Niente giornalisti, niente telecamere. Poco o nulla si deve sapere. Idlib è sotto il fuoco incrociato delle bombe russe e dei cannoni del macellaio di Damasco e in mezzo oltre un milione di uomini, ma soprattutto donne e bambini che non possono andare da nessuna parte, intrappolati dalla più grande offensiva russo-siriana a nove anni dall’inizio della guerra. Ma del dramma di Idlib non ne parla nessuno, come venticinque anni fa nessuno si rese conto in tempo della tragedia di Srebrenica.

Il mondo ha le mani insanguinate e ha deciso per l’oblio. Damasco, Mosca e Ankara, i responsabili più diretti del massacro, hanno approfittato del coronavirus per dare il via all’ultimo e più tragico capitolo della guerra, che sta delineando una catastrofe umanitaria di proporzioni immani. Solo «L’Osservatore Romano» mette Idlib in prima pagina, mentre i vescovi del Mediterraneo sono riuniti a Bari per cercare strade, per scovare proposte e naturalmente per pregare per la pace.

Venerdì 21 febbraio il capo dei vescovi dell’Europa, il cardinale lussemburghese Jean-Claude Hollerich, ha detto senza tanti giri di parole: «Se i governi non fanno nulla la Chiesa deve alzare la voce». Lo aveva fatto il cardinale Pietro Parolin due settimane fa presentando alla Civiltà Cattolica il libro «Essere Mediterranei», unico ad ammonire per tempo circa la tragedia che si preparava ad Idlib.

Ma non è stato ascoltato. Ankara alzava il muro anti-curdi al suo confine vicinissimo alla città martire. Damasco spingeva lì tutti i jihadisti che ancora restano in Siria, per poter giustificare la messa a ferro e fuoco della città e dei suoi dintorni, dove sono concentrati senza neppure le tende nel freddo inverno dell’altopiano oltre un milione di profughi, che cercano disperatamente di fuggire verso il confine turco. Ma non si passa e i trafficanti di essere umani fanno affari d’oro.

Secondo informazioni pubblicate dai giornali libanesi la garanzia, non certa, di attraversare il confine costa fino a tremila dollari, affari d’oro mentre il resto del mondo balbetta. I leader dell’Unione Europa ieri a Bruxelles hanno ripetuto il solito vergognoso mantra dell’invito a tutti di cessare immediatamente le ostilità, aggiungendo che l’offensiva ad Idlib è «inaccettabile». Erdogan non vuole i profughi e intende conquistarsi un fascia di terreno dentro la Siria a ridosso di Idlib. Ma sa bene che non tutti potranno vivere lì e così accetta senza tante storie la pulizia etnica di Assad a suon di cannonate, che ridurrà il numero dei profughi, semplicemente perché molti moriranno. Putin dà un mano ad entrambi con le bombe sganciate dagli aerei. Secondo l’Onu, che dispone solo di due corridoi umanitari per far giungere poco cibo e poche medicine agli intrappolati di Idlib, il 60 per cento sono donne e il 21 per cento bambini. Poche immagini trasmesse dalla zona hanno mostrato bambini assiderati, madri uccise, ospedali bombardati. È la guerra ormai diventata strumento normale di risoluzione delle contese. È la certificazione della fine di ogni diplomazia. Ieri a Bari lo storico Adriano Roccucci lo ha ricordato con un analisi perfetta: «Assistiamo alla riabilitazione della guerra, considerata strumento legittimo per risolvere situazioni conflittuali e per perseguire obiettivi politici».

La diplomazia muore ad Idlib, come è morta a Srebrenica e le aree di egemonia geopolitica si spartiscono in punta di fucile. In Siria sono morte già 600 mila persone, con 5 milioni di rifugiati all’estero e 6 milioni e mezzo di rifugiati interni. Sull’orlo del mattatoio parla solo la Chiesa.

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