Spazio: posto per tre
Usa, Russia e Cina

Un volo di poche ore verso la Stazione orbitante internazionale, l’inizio di una nuova epoca nell’esplorazione spaziale. Gli Stati Uniti sono tornati a lanciare una loro navicella nel cosmo dopo la tragedia dello Shuttle nel 2011. Ma rispetto a 9 anni fa la situazione in questo settore avveniristico è di molto cambiata. Primo: è una compagnia americana privata a gestire il ritorno Usa nello spazio. In un’epoca in cui alcune delle maggiori società private del mondo hanno fatturati addirittura superiori a quelli di numerosi Stati di medio-piccola grandezza è un dettaglio di non poco conto. Inizia il turismo di avventurieri ricconi oltre l’atmosfera? Secondo: la corsa al cosmo è ora a tre; alla Russia ed agli Usa si è aggiunta la Cina, che sta sviluppando tecnologie spaziali affidabili. Terzo: uno degli obiettivi nei prossimi anni è quello del ritorno sulla Luna e nei successivi decenni di porre piede su altri pianeti, Marte su tutti.

Sabato 30 maggio, dopo 9 anni di dominio incontrastato, è pertanto finito il monopolio russo sui voli spaziali. «Il trampolino funziona». Non c’è mass media federale che non abbia riportato le parole pronunciate da Elon Mask, capo della compagnia americana SpaceX, in risposta ad una battuta sarcastica di Dmitrij Rogozin di sei anni fa, quando Washington impose sanzioni a Mosca per la crisi ucraina. Secondo l’attuale direttore di RosComos, l’Agenzia spaziale federale, i cosmonauti d’oltreoceano, allora, non avrebbero avuto altro modo per raggiungere la stazione orbitante internazionale, se non utilizzando «un trampolino».

Per fortuna russi ed americani sullo spazio non hanno mai litigato. Anzi, ogni passaggio dato ai colleghi sulla Soyuz - a lungo l’unico velivolo in grado di raggiungere la Stazione internazionale - ha portato nei forzieri di Mosca 80 milioni di dollari. In un anno tali entrate sono equivalse al 10% dell’intero budget dell’Agenzia federale. Dmitrj Rogozin, adesso, pensa a ridurre il costo del biglietto del passaggio del 30% per rimanere concorrenziali. «Bisogna capire quanta componentistica russa vi è a bordo del Crew Dragon», ha evidenziato il deputato federale, Aleksandr Sherin, nel tentativo di sminuire mediaticamente il successo della SpaceX. Stessa componentistica russa che è presente in importanti quantità anche sulle navicelle e nei vettori cinesi.

I russi paiono al classico «canto del cigno» o perlomeno per loro è suonato un preoccupante campanello d’allarme: alcuni specialisti locali sottolineano che l’attuale dirigenza del Cremlino è più attratta dall’uso militare dei missili che da quello civile; il cosmodromo di Bajkonour rimane all’estero, in Kazakhstan, e la sua graduale sostituzione con quello di Vostochnyj è stata ostacolata da recenti dolorosi scandali e ingombranti casi di corruzione tra le alte sfere; sempre più esperti ascoltano sirene straniere.

«Il successo della missione Usa - ha commentato il cosmonauta, Serghej Krikaliov, - ci consegna ulteriori opportunità». In pratica molti a Mosca ritengono che la cooperazione spaziale tra i due Paesi continuerà. I russi hanno bisogno dei dollari americani per andare avanti. L’obiettivo comune potrebbe essere al momento quello di abbattere i costi: motori più efficienti e meno commesse all’esterno dei consorzi spaziali.

Un ultimo particolare, chissà se davvero casuale, ha colpito gli osservatori: il Crew Dragon ha attraccato alla Stazione orbitante a 422 chilometri dalla Terra proprio all’altezza del confine tra Mongolia e Cina. È questo un ulteriore segnale del cambiamento dei tempi?

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