Stabilità governativa
e instabilità politica
L’uscita incerta
dalla crisi

I sondaggi dicono che una buona metà degli italiani non capisce proprio le ragioni della crisi e che gran parte dell’altra metà è scandalizzata del passo avventato compiuto da Renzi. Via libera quindi al Conte ter? Sapremo tra domani e post domani se avrà successo il passo compiuto dall’avvocato pugliese di resistere a Palazzo Chigi con la stampella dei Responsabili. È destinato, comunque, a non essere il passo decisivo, ma solo il primo di molti altri, tutti in salita, che lo aspettano, se vuole dare solidità a un esecutivo che (ri)nasce malfermo.

L’uscita dalla crisi resta incerta. Troppe sono le variabili in gioco. Forse può allora aiutare a orientarci in questa situazione di grande smarrimento e di ancor più grande incertezza sul futuro, cercare di cogliere, al di là delle beghe di giornata, le tendenze di fondo del nostro presente. È dal 1994 che abbiamo celebrato i «funerali» della Prima Repubblica e all’improvviso intravediamo all’orizzonte le sagome del suo fantasma, con il ripristino di alcune delle sue pratiche più deplorate: intrighi di palazzo, tradimenti del mandato elettorale, acrobazie politiche, patti spergiuri. Ha creato sconcerto in molti innanzitutto la decisione di Italia viva di abbandonare la nave di Conte nel bel mezzo della tempesta. E si capisce. Con la domanda di sicurezza che sale dal Paese, lascia perplessi un’iniziativa che rischia di accrescere incertezza su incertezza. Non si può, d’altra parte, nascondersi che il passo compiuto da Renzi s’inscrive a pieno titolo nelle prassi consolidate di un regime parlamentaristico e proporzionalistico, stile appunto Prima Repubblica, che di soppiatto abbiamo ripristinato (e in controtendenza con le promesse di insediare finalmente la tanto invocata «democrazia dell’alternanza»). Eppure, avremmo dovuto sapere con chiarezza che il ripristino di un sistema parlamentaristico dà vita a governi che si reggono su maggioranze multipartitiche e questo crea le condizioni perché i soci minori siano indotti ad assumere comportamenti «corsari». Per loro è questione di vita o di morte cercare di sottrarsi all’abbraccio fatale dei partiti maggiori. Quante volte in passato abbiamo visto una volta il Pri, un’altra il Psdi, un’altra ancora il Pli o il Psi, sfilarsi dall’alleanza con la Dc per riguadagnare visibilità? Si chiama «potere di ricatto».

Certo, il ricatto non è una bella cosa. Ma non è una bella cosa nemmeno stringere un’alleanza (parliamo del M5S) con un partito (il Pd) bollato il giorno prima come «il partito di Bibbiano», richiedere l’inserimento nella Costituzione del vincolo di mandato per scongiurare la ricomparsa dei famigerati voltagabbana e poi aprire la caccia ai «costruttori» sperando di cambiare il loro profilo politico (morale?) solo cambiandone il nome. Non è una bella cosa (passiamo al Pd) nemmeno aver proclamato che, in caso di rottura dell’attuale maggioranza, l’unica alternativa era il voto e il giorno dopo passare al reclutamento di una pattuglia di «Responsabili» pur di non andare al voto. Non serve a molto comunque scandalizzarsi. Meglio prepararsi a convivere con la nuova versione del parlamentarismo multipartito che ci ritroviamo. Nuova sì, e per di più - non è detto - migliore della prima.

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