Tav e Cina
Governo in apnea

La tregua tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio è fragile, e si vede. Nessuno dei due leader ha intenzione di romperla prima delle elezioni europee del 26 maggio e tuttavia essa viene messa a rischio quasi quotidianamente. Man mano che si avvicina l’appuntamento elettorale che stabilirà i rapporti di forza tra i due partiti – e di conseguenza il futuro del governo Conte e della legislatura – le differenze tra leghisti e «grillini» sono sempre più radicali. Oltre al fatto che le tensioni sulla Tav sembrano aver messo a dura prova anche i rapporti personali tra i due leader che finora avevano in qualche modo arrotondato lo scontro di interessi. Dopo l’Alta velocità ora si affaccia la questione del rapporto dell’Italia con la Cina alla vigilia della visita in Italia di Xi Jinping farà in Italia e della firma («possibile», fa sapere Palazzo Chigi) del memorandum che dovrebbe stabilire alcune regole di collaborazione economica e commerciale.

Il lavoro su quel testo va avanti da tempo, e anzi le sue premesse furono poste dai governi di centrosinistra, ma adesso la questione sta suscitando la diffidenza da parte di Stati Uniti e Ue i quali temono che la disinvoltura italiana possa mettere a rischio la collocazione internazionale del Paese e i reciproci interessi. Gli Stati Uniti ci hanno rivolto un vero e proprio altolà; l’Unione europea ci ha richiamato ai doveri del mercato unico. In realtà, memorandum simili sono stati firmati da altri 11 Paesi della Ue, diversi dei quali membri della Nato, senza che questo abbia finora causato problemi.

Ma l’Italia è la terza economia europea, fa parte del G7, è tra i fondatori dell’Europa unita: non è la stessa cosa dell’Ungheria. Di fronte a questa difficoltà la Lega e i Cinque Stelle si stanno dividendo: la prima frena, i secondi spingono per andare avanti. La prima esclude che il comparto strategico delle telecomunicazioni possa far parte degli accordi coi cinesi e costringe gli alleati a imbarazzate smentite.

In mezzo c’è come al solito Palazzo Chigi che è uscito con un comunicato in cui usa proprio quell’aggettivo, «possibile», per una firma del memorandum che era data per scontata sino a poco tempo fa. In ballo c’è anche il rapporto con gli Stati Uniti: Salvini vuole stringere con l’Amministrazione Trump e Di Maio, pur non volendo rinunciare ad una propria iniziativa, teme ripercussioni, anche perché a Washington c’è ancora chi si ricorda il suo scivolone pro-Maduro.

Quanto alla Tav, Salvini e Di Maio come era ovvio danno una lettura completamente diversa della mediazione escogitata nei giorni scorsi da Conte: secondo l’uno è la premessa per continuare a mandare avanti la costruzione del tunnel; secondo l’altro è il primo passo per l’annullamento di ogni impegno.

Anche se i grillini lo negano, però, la procedura prevista dai trattati si è avviata normalmente e quando arriverà ad un altro step decisivo, tra sei mesi, avremo già avuto le elezioni europee e il ribaltamento dei rapporti di forza. Se la Lega, come prevedono tutti, raddoppierà i suoi voti e il M5S li dimezzerà, sulla Tav non ci sarà più problema.

In ogni caso avremo il terzo antipasto di quella prova già il 24 marzo quando si andrà a votare per la Basilicata. Salvini conta di strappare la Regione al Pd mentre Di Maio teme di ricevere ancora uno schiaffo, dopo quelli che gli sono arrivati da Abruzzo e Sardegna. Se così sarà, la tregua tra alleati si rivelerà ancora più fragile di oggi.

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