Teatrino elettorale
sulla via Emilia

Il teatrino orchestrato intorno al caso della nave Gregoretti e alla richiesta della magistratura di procedere contro Matteo Salvini per sequestro di persona, ha una sola, semplice spiegazione. Si chiama: voto in Emilia Romagna. Entrambi gli schieramenti che si fronteggiavano, la maggioranza giallo-rossa e la Lega con i suoi alleati di centrodestra, avevano il problema di non concedere all’avversario anche il minimo vantaggio in una partita che si annuncia come un testa a testa tra Bonaccini (Pd) e Borgonzoni (Lega) e che sarà deciso probabilmente per pochi voti, salvo naturalmente sorprese. Dunque ognuno ha mosso le sue pedine per ottenere lo stesso scopo. Le contorsioni quasi incomprensibili per il comune cittadino ne sono state la misera conseguenza.

In primo luogo, Matteo Salvini voleva e vuole presentarsi come il campione della difesa dei confini nazionali contro tutti coloro i quali vorrebbero invece che essi fossero considerati uno scudo di carta velina. Per questa ragione, nulla meglio di una persecuzione giudiziaria: consente di attaccare la magistratura e la sinistra manettare e di rivendicare un proprio «patriottico coraggio», anche a costo della galera.

Quando Salvini ha capito che la maggioranza non gli avrebbe mai fatto questo regalo e manovrava per spostare tutto a dopo il 26 gennaio, giorno delle elezioni in Emilia Romagna e Calabria, ha fatto la mossa del cavallo: ha ordinato ai leghisti membri della giunta per le autorizzazioni del Senato di votare sì all’autorizzazione a procedere. Di votargli contro, insomma. «Processatemi pure». La narrazione delle scorse settimane era stata diametralmente opposta: «Non potete processare chi ha servito il suo Paese. Se lo fate siete complici degli scafisti, dei trafficanti di esseri umani, delle Ong, ecc.».

La maggioranza ha provato in ogni modo, dicevamo, a spostare la data ma nulla ha potuto quando la presidente del Senato Casellati, cui spettava l’ultima parola, ha fatto pendere la bilancia sulla giornata di ieri: dunque il voto in giunta c’è stato, ed è stato favorevole all’autorizzazione mentre Pd, grillini e Leu non si sono presentati in aula. A difendere la linea garantista originaria è stata Forza Italia in compagnia di Fratelli d’Italia. Di Maio ha accusato Salvini di vittimismo, i democratici di strumentalizzare le istituzioni per fini politici: ma questa mano l’ha vinta Salvini.

Ancora una volta si capisce che le forze politiche sono pronte a tutto pur di spuntarla a Bologna. Chi vince ha in mano il governo, almeno potenzialmente. Se infatti Salvini conquista la roccaforte rossa per eccellenza, il Pd subisce un contraccolpo potentissimo che potrebbe mettere in discussione la sua permanenza nell’alleanza col M5S che non pochi considerano elettoralmente devastante. Perdere l’Emilia dopo l’Umbria (e tutte le altre regioni) non è un boccone da mandar giù facilmente. Per questo bisogna resistere a ogni costo sperando nell’«effetto sardine». Ma se Zingaretti non riesce nel suo intento, Salvini si riprenderà il centro della scena politica e riparerà lo schiaffo ricevuto dalla Corte Costituzionale che gli ha bocciato il suo referendum iper maggioritario.

C’è poi il caso M5S. I grillini in Emilia Romagna hanno deciso di non ripetere lo sfortunato esperimento umbro e hanno candidato uno di loro per una corsa solitaria e senza speranza. Temono però di ricevere una quantità di voti inferiore anche al più nero dei pronostici: si parla del 5-6% contro il 27 delle ultime Europee. Di fatto, la sparizione. Se così accadesse, la leadership di Di Maio oscillerebbe ancor di più, le fughe dei parlamentari aumenterebbero e il governo si trasformerebbe in un campo di battaglia per la sopravvivenza a cui difficilmente il Conte bis potrebbe sopravvivere. Come si vede, la battaglia è così importante da giustificare qualunque «teatrino» parlamentare.

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