Trump e gli altri
Il muro nel voto

Come ormai è chiaro, la questione del muro al confine con il Messico, così cara a Donald Trump e così invisa ai democratici e agli oppositori in genere, non vale per ciò che è ma per ciò che rappresenta. Detto con parole più spicce, il famoso muro è il primo capitolo di una campagna elettorale che sarà lunghissima e che si concluderà solo con le elezioni presidenziali del 2020. Trattandosi soprattutto di propaganda, sia il presidente sia l’opposizione democratica, che ha la propria roccaforte nella Camera dei rappresentanti, spendono dosi abbondantissime di retorica e ipocrisia. Lo scontro si è aperto quando Trump ha dovuto presentare la legge di bilancio, che prevedeva tra l’altro un investimento di 8 miliardi appunto per la costruzione del muro.

La Camera respinse quella legge, chiedendo che quel capitolo di spesa fosse cancellato. Trump resistette e si arrivò così allo shutdown che scatta in automatico ogni volta in cui non si riesce ad approvare la legge di bilancio. Ovvero, il blocco delle attività di circa un quarto degli uffici federali, con i dipendenti a casa senza salario. Già allora si poteva capire che i tatticismi stavano prevalendo su qualunque altra considerazione. Lo shutdown è impopolare presso ogni settore dell’elettorato, e infatti Trump e i democratici hanno trovato un accordo per non doverlo ripetere. Accordo che però non prevedeva gli 8 miliardi per il muro e che ha spinto il presidente ad annunciare la proclamazione dell’emergenza nazionale, che gli permetterebbe di scavalcare il Congresso e procedere con il suo progetto.

Donald Trump sa benissimo che non c’è alcuna particolare «emergenza» al confine con il Messico che, con 250 milioni di transiti l’anno, è il più trafficato del mondo. È vero, negli Usa vivono quasi 11 milioni di immigrati illegali e per metà sono messicani. Ma è anche vero che sono in netto e costante calo rispetto al picco massimo raggiunto nel 2007, quando i messicani che risiedono negli Usa senza permessi erano quasi 7 milioni. Nel 2016, inoltre, sono stati espulsi 245.306 immigrati che avevano attraversato illegalmente la frontiera con il Messico, in chiara diminuzione rispetto ai 308.828 espulsi nel 2013. Per quanto poi riguarda la criminalità, e in particolare il traffico di droga, non è cambiato molto rispetto al recente passato. È un problema grave oggi come lo era ieri, né più né meno.

Trump vuole il muro perché lo aveva promesso agli elettori e perché vuole presentarsi alle elezioni del 2020 come il presidente che ha reso più sicura l’America. Allo stesso modo, per dire, in cui ha organizzato la conferenza di Varsavia per pianificare l’aggressione all’Iran e passare per il leader che ha «stabilizzato» il Medio Oriente. Ripetiamolo: propaganda. Molto altro non c’è. Il problema è che l’ipocrisia regna sovrana anche sull’altro fronte, quello dei democratici. L’emergenza cara a Trump non c’è per una ragione assai semplice: perché un muro al confine con il Messico c’è già e funziona. Cominciò a costruirlo nel 1990 George Bush senior, presidente repubblicano. Lo rese più alto e più lungo Bill Clinton, presidente democratico. E nel 2005, quando il Congresso approvò un progetto presentato dai repubblicani per rinforzarlo, votarono a favore anche Hillary Clinton e Barack Obama. Lo stesso Obama che, diventato a sua volta presidente, segnò il record (quello già citato del 2013) di immigrati illegali espulsi.

Anche adesso i democratici, che negano a Trump gli 8 miliardi per il muro vero e proprio, sarebbero pronti a spendere un miliardo e mezzo per una recinzione di diverso tipo. Segno evidente di un fatto preciso: a torto o a ragione, il mondo politico Usa non ha dubbi sul fatto che una barriera lungo quel confine di 3.140 chilometri sia non utile ma addirittura necessaria. Resta ora da vedere come finirà la rissa tra Trump e i democratici. La proclamazione dello stato di emergenza può essere annullata da una legge che deve però essere votata anche da metà dei repubblicani di Camera e Senato. Difficile ma non impossibile. E anche la magistratura può creare notevoli ostacoli. Ma siamo sicuri che questo convenga ai democratici? Fermare Trump sarebbe una soddisfazione ma potrebbe essere una vittoria di Pirro in termini di consenso. Lascerebbe il presidente libero di giocare la parte di colui che voleva garantire la sicurezza al proprio popolo ma è stato fermato dalle camarille di Washington. Vedremo. Da qui al 2020 le occasioni non mancheranno.

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