Turchia-Siria, la Russia
si prende la scena

La Russia è sempre più il «deus ex machina» dell’attuale scenario mediorientale in cui spiccano il ritiro inatteso dalla Siria settentrionale degli americani, ordinato dal capo della Casa bianca Donald Trump, e l’assenza degli europei. A Sochi il presidente Recep Tayyip Erdogan fa il punto della situazione col collega Vladimir Putin dopo che il 9 ottobre scorso il leader turco gli aveva telefonato prima di lanciare l’attacco oltreconfine. Mosca, in queste giornate tese, non se n’è stata con le mani in mano: ha mediato soprattutto l’intesa tra i governativi pro-Damasco – da lei appoggiati - ed i curdi in funzione anti-Ankara, mentre gli americani hanno lasciato a queste ultime due forze (quindi indirettamente anche ai russi) le loro postazioni senza colpo ferire.

Il Cremlino vuole essere sicuro che i turchi si fermino veramente a 30 chilometri dalla loro frontiera, come dichiarato alla vigilia dell’intervento armato, presentato da Erdogan come «anti-terrorismo curdo» e per creare un’area dove radunare i tanti profughi siriani. La lezione, impartita dal presidente russo, è che – in un rimescolamento continuo di alleanze, come avviene in questo teatro – degli amici ci si può fidare, ma fino ad un certo punto.

Dopo 8 anni di guerra sanguinosa, è bene non dimenticarselo, la cosiddetta «pax moscovita» per la regione è stata raggiunta grazie all’accordo mediato da Vladimir Putin con Turchia ed Iran. Così il Cremlino ha salvato la famiglia Assad, storica sua alleata fin dai tempi sovietici. La Siria è il suo caposaldo nella regione, caposaldo che permette alla Russia di ambire ad essere ancora una potenza internazionale e distrae quanti vorrebbero infilarsi nel suo spazio «vitale», ossia quello ex sovietico, dove rimangono i suoi interessi strategici.

Vladimir Putin fa sul serio in Medio Oriente. La settimana scorsa è stato prima in Arabia Saudita poi negli Emirati arabi, dove ufficialmente ha tenuto principalmente discussioni sui tagli alla produzione di petrolio, i cui introiti sono voce fondamentale del bilancio federale.

Invero il capo del Cremlino ha parlato anche della situazione catastrofica ad Idlib, dove sono da mesi intrappolati milioni di civili insieme a guerriglieri filo-arabi, vicini alle opposizioni anti-Assad, misti a jihadisti. I filo-governativi pro-Damasco insieme ad i russi non sono riusciti a vincere militarmente in agosto. L’unica soluzione è, quindi, diplomatica.

L’obiettivo di Vladimir Putin è l’indivisibilità della Siria. Considerate le difficoltà delle truppe filo-governative di Assad, è possibile per il momento accettare la creazione di una fascia de-militarizzata di 30 chilometri a nord verso il confine turco. Poi si vedrà. La Russia sta contemporaneamente ispirando il cosiddetto «gruppo di Astanà» (composto dalle Potenze attualmente vincitrici in Medio Oriente) che sta tentando di scrivere una Costituzione per il dopoguerra siriano. Insomma si pensa non solo all’oggi, ma anche al domani, quando le armi dovranno finalmente tacere.

L’americano Trump potrà fare tutta l’ironia che vuole sulla tanta «sabbia» in Siria, ma, ad uscire – per adesso – vincitore dalla partita, è Vladimir Putin. Un vero miracolo se si pensa al ridottissimo budget militare a disposizione, paragonandolo a quello Usa, ed alle limitate possibilità economico-finanziarie dell’ex superpotenza «comunista». Mentre i Ventotto pagano fior di miliardi di euro ad Erdogan per tenersi in casa 3,6 milioni di profughi siriani, le comunità cristiane d’Oriente devono invece a Vladimir Putin l’essere riuscite a sopravvivere anche a questa tempesta della storia. Una bella riflessione su quali siano i valori e gli interessi da difendere nel mondo gli europei prima o poi dovranno farsela.

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