Ubi, qualità riconosciuta
Serve attenzione

La notizia della mossa di Intesa Sanpaolo su Ubi Banca ha sorpreso positivamente i mercati, è un riconoscimento della qualità del target, non è scevra da qualche elemento di criticità. La commentiamo come se il suo esito finale fosse scontato, ma ovviamente da qui alla conclusione qualche elemento di incertezza potrebbe manifestarsi. Essere oggetto dell’offerta di acquisto da parte del principale gruppo bancario italiano, e fra i primi in Europa, è un titolo di merito, non un insuccesso. Per la sua strategia di crescita Intesa punta sulla carta migliore del mazzo, lasciando perdere altre possibili occasioni magari più facili e meno costose ma, proprio per questo, di minor pregio. Una scelta che premia la storia di qualità e di solidità del Gruppo Ubi che ha avuto nella Banca Popolare di Bergamo il fulcro dello sviluppo e la nota caratterizzante.

L’operazione annunciata lunedì sera da Carlo Messina ha due pregi: è un’operazione di mercato pura e semplice, frutto cioè di una proposta a tutti gli azionisti che saranno liberi di accettarla o no; ha un grande senso industriale perché espande i volumi del gruppo milanese portando quei vantaggi che oggi ci si aspetta dalla grande dimensione: maggiore efficienza operativa attraverso le economie di scala e la possibilità di fare grandi investimenti nell’innovazione tecnologica. L’aggregazione è conforme anche agli indirizzi della vigilanza europea, da tempo impegnata a ridurre quella che giudica, a torto o a ragione, l’ipertrofia del sistema bancario europeo, non solo italiano.

Tutto bene dunque? Qualche ombra c’è, o almeno qualche elemento di riflessione. Partiamo dall’aspetto più venale: il prezzo. Un premio un po’ al di sotto del 30% delle quotazioni correnti si colloca nella fascia bassa dell’intervallo consueto. Inoltre è stato in parte eroso dal balzo che il titolo Ubi ha fatto a seguito della presentazione del piano industriale. Evidentemente un piano apprezzato dal mercato anche se non presentava guizzi o traguardi roboanti, o forse apprezzato proprio per questo, a dimostrazione della vitalità della banca e del suo potenziale di crescita. La proposta poteva essere più generosa e magari poteva contemplare un componente in denaro, anziché essere pagata tutta in azioni, soprattutto per essere attrattiva verso i tantissimi piccoli risparmiatori. Ma a decidere l’esito dell’operazione saranno ovviamente i grandi fondi di investimento, in maggior parte stranieri, che da tempo hanno creduto nell’istituto di piazza Vittorio Veneto e che sono attenti più al controvalore e meno alla composizione.

Poi c’è il profilo degli effetti sul sistema bancario, che registrerà un’ulteriore concentrazione nelle prime posizioni ma lascerà in difficoltà le pedine di fascia media che stavano studiando accasamenti. A lungo si è parlato di matrimoni di Bergamo con Verona o Siena, o magari di tutti e tre insieme e invece, come sanno i conoscitori dei mercati, l’operazione che si fa è quella di cui non si parla. Ubi, proprio per la sua qualità, era il pilastro principale del risiko fra banche medie, che ora dovranno combinare più debolezze che forze.

Infine, i riflessi sul territorio bergamasco. Una banca dell’importanza della Popolare di Bergamo, prima, e di Ubi poi, anche se in condominio con Brescia, non è solo un erogatore di servizi creditizi, come tale surrogabile. È una realtà profondamente intersecata con la dimensione economica, istituzionale e sociale della provincia, da cui ha tratto linfa vitale per il suo successo e a cui ha dato energie e risorse per la crescita. È sempre stata una fucina di talenti e bacino di opportunità professionali. L’amministratore delegato di Intesa ha promesso speciale attenzione ai territori bergamaschi e bresciani. Confidiamo che mantenga la parola ma, al tempo stesso, è bene che chi ha gli strumenti tenga alta l’attenzione.

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