Un pasticcio previsto
tra liti e rancori

Un caos così surreale, in agosto, non ha precedenti. Incertezza e stabile instabilità hanno fatto da sfondo ad una crisi di governo con vista sull’ignoto. Uno, due o tre esecutivi a seconda delle circostanze, come abbiamo visto. Una strettoia con poche soluzioni di sopravvivenza e da percorrere al buio. Il punto di svolta è la richiesta di Salvini di andare al voto, mai così esplicita, avanzata dal dominus di questa partita a poker: un prendere o lasciare. Una rottura a carte scoperte dopo l’umiliazione patita da Di Maio per mano del socio di maggioranza, quel Salvini che, forte di un consenso in crescendo, si assegna il ruolo del salvatore contro il reprobo, detta la linea, assegna i posti e dà inizio alle danze.

La girandola di incontri fra i vertici istituzionali di ieri anticipa quasi certamente un cambiamento del quadro. Salvini ha fretta di capitalizzare il successo in Italia delle Europee: costi quel che costi, a qualsiasi prezzo, pur in nome di «certezze e di scelte coraggiose e condivise». Nel gioco delle spinte in avanti e delle controspinte frenanti, qualsiasi opzione dovrà però misurarsi con le prerogative del presidente della Repubblica, senza ignorare il peso e il potere di veto della Lega: nei vari passaggi di questi mesi abbiamo visto che Mattarella non concede nulla al caso o alle circostanze, bensì si muove da un lato nel rigoroso rispetto della Costituzione e dall’altro nell’interesse esclusivo del Paese.

La mossa di Salvini di rompere una finzione durata troppo a lungo – incalzato anche dai suoi, dal partito nordista e dal club dei governatori – ha una sua logica, sia per l’utilità della Lega sia per uscire dall’immobilismo dei soci di maggioranza pentiti, e semmai c’è da chiedersi perché abbia rotto gli indugi solo ora. Il giudizio di merito del leader leghista verso i grillini vale fino a un certo punto, perché il no alla Tav era scontato, un modo per salvarsi l’anima presso il proprio elettorato e in diverse occasioni l’ala governista dei 5 Stelle ha assecondato il volere dell’uomo forte del governo fino ad appiattirsi sull’oltranzismo.

L’ipotesi di elezioni anticipate incontra un sentire diffuso, Pd compreso, per superare l’anomalia di due populismi che, benché abbiano punti in comune, sono fra loro antitetici. In realtà, però, dal contratto di governo fra i due azionisti, che è un patto di potere, non è mai nata una coalizione. Liti e rancori hanno fatto il resto e nel frattempo sono mutati i rapporti di forza a vantaggio di una Lega smisurata. Non è cresciuto però il grado di maturità politica e istituzionale: a partire dalle lesioni allo Stato di diritto, dalle parole malate e dalle scene indecorose. Salvini, quindi, se vuole passare all’incasso lo può fare solo ora. A settembre sarebbe troppo tardi: lo dice il calendario. Che poi questo pasticcio si concluda con un probabile ritorno alle urne (l’ultima finestra è il 20 ottobre), con un governo finto nuovo, con un ormai improbabile Conte bis sostenuto sempre dalla maggioranza felpastellata, lo capiremo meglio nelle prossime ore.

Quanto alle cose da fare, entro agosto bisogna indicare il nome per il commissario europeo, a settembre inizia l’iter della legge di bilancio e, in quel mese, c’è pure l’ultimo passaggio della riforma costituzionale che taglia il numero dei parlamentari: un appuntamento che allungherebbe i tempi per la possibile chiusura anticipata della legislatura. Sempre precisando che l’ultima parola spetta al Quirinale, tocca a Conte e a Di Maio decidere in prima battuta. Il primo è parso in balìa degli eventi dopo aver cercato invano uno spazio d’autonomia. Il secondo è in caduta libera sia all’interno del movimento sia all’esterno tra i referenti sociali ed economici: non è riuscito a contenere né il crollo dei consensi né lo sfondamento salviniano, senza peraltro intaccare lo spirito da crociata che ne sovrasta la palese incapacità di governo. Per Di Maio la soluzione difensiva meno traumatica sarebbe un rimpasto contenuto con l’arrivo di ministri leghisti in posti chiave (a cominciare dalle Infrastrutture ).

La componente grillina verrebbe sfiduciata: Di Maio ha la forza di reggere un simile urto e di collezionare un altro schiaffo? La mossa di Salvini, che vorrebbe la flat tax in una manovra in deficit, in contrasto quindi con le indicazioni della Ue che ci tiene ancora sotto esame, si sta però consumando in un sistema politico squilibrato e in un’Italia esposta agli choc esterni. Non c’è una maggioranza alternativa a quella gialloverde: Forza Italia desertificata è sotto i minimi sindacali, il Pd è impreparato alla sfida e potrebbe essere alla vigilia della scissione dei renziani. Per il Sistema Italia, con crescita zero, con il manifatturiero che perde colpi e con lo spread in agguato, lo spettro della recessione in Germania è una brutta notizia, perché la locomotiva tedesca è il primo importatore del made in Italy e perché ora si teme il rischio domino sulla filiera Lombardia-Veneto-Piemonte. Recessione politica e recessione produttiva si tengono, sono una temibile coppia di fatto anche per chi è abituato a vincere.

© RIPRODUZIONE RISERVATA