Una sentenza scontata
La rivincita è in Emilia

Che sarebbe andata così, lo si immaginava da parecchi giorni. Anche i leghisti lo sapevano. Per quanto il verdetto della Consulta sul referendum di Calderoli sia stato particolarmente combattuto tra i giudici (pare che sia finita con un otto a sei per il «no»), già l’articolo di Sabino Cassese, autorevole ex presidente della Corte tuttora molto attivo, aveva fatto capire che aria tirava: non a caso, l’argomento usato da Cassese per bocciare il quesito di Calderoli era quasi lo stesso di quello con cui la Corte ha dato ieri una prima sommaria spiegazione della decisione negativa. In sostanza: se il referendum avesse approvato la richiesta contenuta nel quesito, il «Rosatellum» si sarebbe trasformato in una legge iper-maggioritaria all’inglese (in ogni singolo collegio vince il seggio chi prende anche un solo voto in più, tutti gli altri perdono, anche chi è sconfitto per quell’unico voto) ma la legge non sarebbe stata immediatamente applicativa. Ci sarebbe voluto un ulteriore atto legislativo.

E siccome gli organi rappresentativi dello Stato non possono sopportare un «vuoto» legislativo la Corte - in coerenza con una sua giurisprudenza costante - ha detto no.

Che succede ora? Succede che Salvini si è visto sbarrare la strada più sicura verso Palazzo Chigi. Già, perché la legge maggioritaria favorisce il partito più grosso (la Lega) e la coalizione più coesa (il centrodestra) che teoricamente possono vincere in tutti i collegi contro avversari più deboli e disuniti, e portare a Roma una maggioranza schiacciante, quasi plebiscitaria. Ha influenzato la Corte il timore di questo che sarebbe stato molto simile ai famosi «pieni poteri» che Salvini chiedeva la scorsa estate e che aveva allarmato molte persone assai autorevoli, al di qua e al di là dei confini nazionali? Salvini non ha dubbi: «Vergogna!» ha detto attaccando la Corte. E i suoi lo dicono esplicitamente: il sistema si è chiuso a riccio per difendere il governo e la legislatura (che stanno in piedi in funzione anti-leghista) e, in prospettiva, lo stesso futuro Capo dello Stato, cioè il successore di Mattarella che i giallo-rossi vorrebbero eleggere nel 2021 con i voti che hanno in «questo» Parlamento e non in quello dove Salvini e Meloni spadroneggerebbero.

Non a caso la proposta alternativa di legge elettorale escogitata dalla maggioranza giallo rossa è un ritorno al proporzionale della Prima Repubblica con uno sbarramento molto alto: ognuno si presenta all’elettorato per conto proprio, riceve i voti e i seggi in proporzione e poi, in Parlamento, si vede che maggioranza formare. Non c’è un asso pigliatutto come col maggioritario, ognuno ha la sua fetta. Salvini e la Meloni potrebbero vincere, coi voti che hanno, ma non stravincere (Renzi poi sarebbe escluso grazie alla soglia di sbarramento).Alla luce della sentenza, la legislatura ora è meno incerta. Ma solo fino al giorno 26 gennaio quando gli emiliano romagnoli (e i calabresi) rinnoveranno i loro consigli regionali. Quel voto influirà moltissimo sugli equilibri nazionali. Se il Pd perderà la regione Emilia Romagna il governo verrà terremotato; se i 5Stelle prenderanno i voti che dicono i sondaggi ad essere terremotato sarà il loro movimento e le fughe dei parlamentari si moltiplicheranno insieme alle liti. Se Salvini vincerà, avrà una carta in più per chiedere le elezioni, se invece perderà, subirà una seconda sconfitta in dieci giorni e dovrà riporre per il momento lo spadone. Siamo stati appesi al verdetto dei giudici fino ad ora, adesso staremo appesi agli umori degli emiliano-romagnoli. Così va la politica quando ha la consistenza della carta velina.

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