Un’unità ostentata
sulla manovra

I partiti della maggioranza stanno lavorando alla manovra economica 2020 cercando di dimostrare che il governo è in grado di condurla in porto senza troppi scombussolamenti. A questo sono serviti i ripetuti vertici degli ultimi due giorni successivi alla sconfitta in Umbria della coalizione giallo-rossa, rinfrancata ieri dalla fiducia ottenuta alla Camera sul dl per le imprese. Pd, M5S hanno raggiunto accordi importanti: sulle partite Iva (che rimarranno al 15% di tassazione flat e non subiranno le restrizioni previste inizialmente dal Tesoro) oltre che su Quota 100 e reddito di cittadinanza.

Si aggiungono ora una misura che spinge per gli appalti green della Pubblica amministrazione (le nuove auto dovranno essere per la metà elettriche o ibride), un credito d’imposta per gli investimenti a favore dell’Economia circolare e la detraibilità delle spese per i farmaci anche quando li si acquisti con denaro contante. Le frizioni si sono registrate piuttosto sugli otto milioni di sostegno a Radio Radicale che Di Maio avrebbe voluto bloccare («Diamoli ai terremotati»), ma sostanzialmente la manovra ora può finalmente essere trasmessa alle Camere. Anche da Bruxelles arrivano segnali positivi sull’ossatura macroeconomica del Bilancio persino dal «falco» Dombrovskis («anche se – dice - restiamo preoccupati», e ti pareva).

Insomma si cerca di tenere la manovra il più possibile al riparo delle polemiche suscitate dalle elezioni umbre che però non solo non si stanno attenuando ma addirittura rischiano di ingigantirsi soprattutto all’interno del Movimento Cinque Stelle. La leadership di Di Maio è sempre più esplicitamente messa in discussione da una fronda interna ora rafforzata dagli esclusi dalle poltrone ministeriali.

Le contestazioni al leader politico sono duplici: sia perché ha precipitosamente varato l’alleanza col Pd in Umbria finita con il trionfo del centrodestra; sia perché si è precipitato a disdirla subito dopo la sconfitta che, per il M5S, ha comportato la perdita di oltre due terzi dei voti delle Politiche del 2018 e la metà di quelli delle Europee del maggio scorso.

La preoccupazione riguarda proprio la tenuta del M5S che potrebbe venir meno improvvisamente. Un possibile detonatore? la conferma degli accordi con la Libia sui migranti stipulati a suo tempo dal ministro Minniti. Di Maio è per sottoscriverli di nuovo, al contrario di buona parte del Movimento – quella più di sinistra – e già si raccolgono firme in Parlamento tra grillini, democratici e Leu, per bloccare il rinnovo dell’intesa. Ormai ogni passaggio scabroso può essere un motivo di rottura.

Zingaretti continua a lanciare ammonimenti: «O si riprende una piena solidarietà di maggioranza e di governo oppure il governo cade, e saremo noi a farlo cadere» (del resto tutti i sondaggi danno il Pd al 22-23 per cento, comunque in seconda posizione dopo la Lega).

Conclusione. L’ostentata unità sulla manovra economica serve a calmare le acque, a frenare i ribellismi, a rassicurare tutti sulla tenuta della coalizione. La quale, non bisogna dimenticarlo, ha il «compito» implicito di arrivare fino al 2022, cioè fino all’elezione del nuovo Capo dello Stato e garantire all’Europa un successore di Mattarella non sovranista o euroscettico. Se invece Conte cadesse adesso o dopo le elezioni in Emilia Romagna, Mattarella non potrebbe far altro che sciogliere le Camere escludendo qualsiasi governo tecnico o di «responsabili». Il Quirinale ha fatto sapere con chiarezza che questa sarebbe la linea di condotta del Capo dello Stato che oltretutto, facendo saltare il referendum sul taglio dei parlamentari, porterebbe al voto con la legge elettorale del Rosatellum tuttora vigente.

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