Valorizzare le forze
migliori del Paese

Sette giorni - dal 24 marzo al 1° aprile - sono bastati per mettere in piedi un ospedale da campo, che è divenuto, a tutti gli effetti, un reparto dell’ospedale Papa Giovanni XXIII, forte di 72 posti di terapia intensiva e altrettanti di terapia sub-intensiva. Lo racconta, con asciutta semplicità Giorgio Sonzogni, alpino bergamasco ed ex vicepresidente dell’Ana (Associazione nazionale alpini). «Con i propri mezzi e le sue strutture - sono parole di Sonzogni - l’Associazione ha dato un fulgido esempio di cosa possano fare le forze migliori del Paese e, nel contempo, di come esse riescano sovente ad arrivare dove lo Stato non arriva. O meglio, dove non arriva più. Il caso dell’Ana è, sotto questo profilo, fortemente emblematico. Il gruppo degli Alpini non è intervenuto a Bergamo in quanto forza militare statale ma in quanto associazione volontaria. Nulla di male, verrebbe da dire, perché ciò dimostra la vitalità di quelli che Giuseppe De Rita da decenni chiama i «corpi intermedi» della società.

Soggetti privati che - nell’affiancare i poteri pubblici o, semplicemente, nel supplire alle loro carenze - alimentano il circuito partecipativo tipico delle democrazie. Del resto, già Montesquieu, parlando degli Stati unti d’America, notava come la forte presenza delle associazioni desse sostanza alla giovane democrazia di quell’immenso Paese.

Ovviamente non tutto deve o può essere Stato. Oppure statalizzabile. In Italia, però, si è avuta un’evoluzione singolare, consistente nel progressivo smantellamento di alcuni storici «presidi» di strutture tecniche dello Stato. Tale fenomeno ha riguardato il Genio civile e il Genio militare che avevano tradizionalmente assicurato la possibilità di interventi, rapidi, efficienti da parte di Corpi ad altissima caratura tecnica, mobilitabili a seconda delle esigenze dalle autorità statali.

L’unico ad aver mantenuto ranghi e risorse adeguate è il corpo dei Vigili del fuoco, braccio operativo della Protezione civile. Quanto esso valga e come la sua presenza sia indispensabile nel fronteggiare emergenze e nell’operare per ricostruzioni e ripristini della normalità lo dimostra la realtà quotidiana del Paese. Siffatta circostanza dovrebbe indurre a riflettere bene sull’esigenza di rilanciare, con adeguati mezzi finanziari e accorta selezione del personale, strutture tecnico-operative pubbliche in grado di essere utilizzate in ogni circostanza necessaria.

Non soltanto nell’emergenza, ma anche nella prevenzione ambientale, nella manutenzione delle grandi infrastrutture (si pensi alle ferrovie o ai ponti). In sintesi, in quell’insieme di compiti definibili come «difesa civile», che si affianca alla «Protezione civile». Nel lungo, e presumibilmente accidentato, percorso dalla «fase 2» ai nuovi assetti mondiali e nazionali che emergeranno allorché la pandemia sarà domata, ripensare le strategie imprenditoriali e trovare la strada per un rapporto proficuo tra Stato e imprese (intese come attività imprenditoriali di qualsiasi tipo) diventerà un elemento cardine di assetti sociali più giusti e più attenti alle esigenze dei cittadini.

In tale contesto, ricostruire lo Stato nella sua funzionalità e nel ruolo che dovrà avere nelle dinamiche socio-economiche diventerà un imperativo categorico. Affinché l’opera di ricucitura del tessuto civile, economico, culturale possa mettere realmente radici solide occorrerà partire dalla formazione delle nuove generazioni. I giovani – spina dorsale del cambiamento – hanno bisogno di credere nella legittimità delle istituzioni. Per riannodare il filo, che spesso sembra disperso, della base identitaria del Paese occorre una nuova saldatura dei valori. Ripristinare l’obbligo del Servizio civile sarebbe un segnale forte e chiaro. Una momento di crescita per tutti i giovani, un’occasione di sperimentazione delle attitudini e delle vocazioni, un servizio concreto all’intera collettività.

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