Italia, il «vecchio»
e i bambini

Segnano Nicolò Barella (classe 1997) e Moise Kean (2000), nel finale entra anche Nicolò Zaniolo (1999). E un certo Fabio Quagliarella (1983), che in pochi minuti sfiora il gol due volte (la seconda glielo nega la traversa). Il vecchio e i «bambini» hanno acceso il sabato sera di una Nazionale che da troppo tempo non regalava una gioia vera.

Il girone J sulla carta è facile, il primo assaggio di campo l’ha confermato, anche se la Finlandia non è un materasso. Martedì arriva il Liechtenstein e, salvo cataclismi, saranno altri tre punti in saccoccia per una partenza lanciata nelle qualificazioni europee che a giugno riserveranno esami più probanti, ad Atene con la Grecia sabato 8 e a Torino con la Bosnia Erzegovina martedì 11 (poi in Armenia il 5 settembre si chiuderà l’andata).

Per un’Italia che deve ricostruirsi e risorgere dalle macerie della mancata partecipazione al Mondiale di Russia va benissimo questo raggruppamento abbordabile: consente di lavorare senza ansia e di mettere a punto una squadra nuova che, se non sarà perfettamente a bolla per l’Europeo del 2020, lo sarà per il Mondiale di due anni dopo. Diversamente sarebbe una crisi epocale. Ma la qualità e la spavalderia dei giovani su cui scommette il ct Roberto Mancini allontanano certi cattivi pensieri. Non è una Nazionale che incanta, con la Finlandia non tutto è filato liscio, ma già aver mantenuto la porta inviolata è un segnale incoraggiante. È una Nazionale che almeno intriga. Sui ragazzi terribili dell’altra sera – Kean in testa, esageratamente definito «devastante» dal ct – scorrono fiumi di inchiostro da giorni: ci mancherebbe, non solo rappresentano il futuro, sono già il presente. Spendiamo due parole per il vecchio «Quaglia», 52 reti nelle ultime tre stagioni (ben più delle 44 siglate nelle precedenti sei), 21 nel campionato in corso che lo vede capocannoniere della serie A. Se saprà conservarsi bene almeno fino all’anno prossimo, quando avrà la bellezza di 37 primavere, potrà essere utilissimo all’Italia dei «bambini». Per la confidenza con il gol, per l’esempio che può rappresentare. È così in tutte le realtà professionali, non solo nel calcio. E fa bene chi considera i vecchi di valore una risorsa ancora preziosa, anziché accantonarli frettolosamente nel nome dei numeri.

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