Gravidanza con un tumore, la «resilienza» aiuta le mamme

Psicologia I risultati di una ricerca realizzata grazie anche al lavoro e all’esperienza di Asst Bergamo Est.

L’incremento del numero di nuove diagnosi oncologiche in età fertile (16%), unitamente allo spostamento in avanti dell’età materna alla prima gravidanza, hanno portato l’emergere di nuove e complesse tematiche in cui al desiderio di maternità si contrappone la difficile e dolorosa esperienza di una malattia che segna profondamente la donna, minando soprattutto la sua progettualità alla genitorialità. La ricerca «Gravidanza e cancro: diventare genitori dopo una diagnosi oncologica: rilevazione di un campione di pazienti oncologiche italiane» nasce dalla collaborazione di diversi professionisti e diverse realtà, in primis l’Asst Bergamo Est e l’Associazione di volontariato Salute Donna Onlus, l’Istituto Europeo di Oncologia, l’Irccs San Matteo di Pavia e l’Ats di Bergamo.

Ricerca in due fasi

L’obiettivo è quello di comprendere al meglio le peculiarità e le sfide che possono incontrare le donne che hanno sperimentato in passato un tumore o che si trovano a dover affrontare gravidanza e cancro nello stesso momento. Per poter rispondere a tale obiettivo, lo staff della dottoressa Lucia Bonassi, psicologa e psicoterapeuta responsabile della ricerca e del Servizio di Psiconcologia dell’Asst Bergamo Est, ha costruito un disegno di ricerca longitudinale breve, strutturato in due fasi, l’ultimo trimestre di gravidanza e tre mesi dopo la nascita del bambino, che prevede il confronto dell’esperienza delle future mamme con tumore pregresso o tumore in gravidanza con quelle future mamme esenti da patologia.

I primi dati dello studio hanno evidenziato come il campione di donne gravide con patologia sembrerebbe avere maggiori difese psicologiche e maggior resilienza rispetto alle donne senza storia oncologica. Per verificare tale ipotesi, è stato aggiunto alla ricerca la misurazione del cortisolo durante la gravidanza, poiché l’esposizione prenatale ad alti livelli di cortisolo materno sembra essere associata a maggiori difficoltà comportamentali e maggior reattività allo stress del bambino durante l’infanzia. Emerge chiaro che la diagnosi oncologica in gravidanza rappresenta quindi un fattore di rischio per la relazione mamma e bambino che può complicarsi ulteriormente durante la fase del puerperio. L’importanza della tematica ha comportato l’estensione del progetto a livello nazionale, con l’obiettivo ambizioso di definire linee guide atte all’apertura di servizi a sostegno dell’oncofertilità.

«Supporto psicologico importantissimo»

«Lo studio ha analizzato l’impatto che una diagnosi oncologica ha sul legame prenatale. E ha dimostrato quanto sia fondamentale un sostegno a 360 gradi della donna che ha avuto un tumore prima della gravidanza o scopre di averlo - spiega la dottoressa Lucia Bonassi - . Entrando nel merito della ricerca, un dato interessante riguarda l’allattamento esclusivo al seno che nelle donne con cancro pregresso è pari al 14%, mentre per quelle con tumore scoperto in gravidanza è inesistente. Il supporto psicologico è importantissimo perché, se anche oggi il 90 percento delle persone non muoiono e guariscono dal tumore, vivono comunque un’esperienza che influenza la loro vita, la loro famiglia e le loro scelte. La resilienza, cioè la capacità di gestire e superare un evento stressante, sembra svolgere un ruolo protettivo. Infatti, livelli più alti sono associati a minori sintomi ansiosi-depressivi e a un maggiore investimento nella relazione prenatale mamma-bambino. Tre strategie che appartengono alla resilienza hanno avuto un maggiore impatto positivo sul benessere di queste donne. Avere una visione positiva del futuro e pianificare a lungo termine è correlata a minori livelli d’ansia e spossatezza. La percezione di una rete di supporto sociale attiva e partecipe è l’altro fattore che permette alla madre di dedicarsi alla costruzione della relazione tra lei e il nascituro, che si traduce in una maggiore intensità e qualità dell’attaccamento prenatale. Infine, il terzo fattore è la coesione famigliare: dove i valori sono condivisi, la fiducia è reciproca e ci si sente accettati, i livelli di rabbia e di sintomi ansiosi-depressivi sono più bassi»

Interdisciplinarità

«In situazioni simili - evidenzia Giuseppe Nastasi, direttore dell’oncologia medica dell’Asst Bergamo Est - l’interdisciplinarità tra specialisti deve diventare un mantra. Del resto, oggi le donne non devono avere più paura di mettere al mondo un figlio, quando hanno una diagnosi oncologica . Basti pensare che già dopo il terzo mese di gravidanza una donna può essere sottoposta a chemioterapia, senza che questo abbia conseguenze su di lei o sul bambino. Le donne - conclude - fanno grandi sogni ed è nostro dovere aiutarle a realizzarli».

Lo step successivo della ricerca prevede un’indagine sulle pazienti oncologiche e oncoematologiche con l’obiettivo di valutare il grado di conoscenza, i bisogni e le aspettative delle popolazioni in oggetto. Allo stato attuale non esistono linee guida in merito all’allattamento post cancro, pertanto questa survey, presentata l’8 marzo scorso in una conferenza in aula del Gonfalone di Regione Lombardia, si pone come primo obiettivo la «fotografia» della situazione attuale nelle diverse realtà oncologiche italiane. L’obiettivo è duplice: valutare le informazioni quantitative e qualitative che le donne ricevono per migliorare l’assistenza e la comunicazione ma anche avere un’analisi del bisogno formativo del personale multidisciplinare che ruota intorno alla donna con storia oncologica.

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