Una «Preghiera per Nembro» - Il video
Dolore e speranza a un anno dal Covid

Nel libro di Quaranta e Chiappaventi l’altruismo di chi s’è preso cura di chi soffriva. Il ricavato andrà alla Rsa.

Sguardi. Occhi, mani, braccia di chi c’era e «anche nel momento più duro ha incarnato la potenza della speranza». Sguardi persi di chi attraversava la piazza davanti alla chiesa plebana di Nembro, solo. Occhi risoluti degli adolescenti a riporre nelle cassette dalla posta i volantini con i numeri utili per avere la spesa a casa. Mani forti a sollevare le bombole dell’ossigeno, braccia sfinite dalle ore passate a reggere la cornetta del telefono, al centralino del Comune.

Il libro «Preghiera per Nembro» presentato lunedì 22 febbraio alla stampa nell’auditorium Modernissimo e seguito in diretta streaming da 230 famiglie, condensa negli scatti del fotografo Marco Quaranta e nei testi di Guy Chiappaventi l’essenza di una comunità che ha tanto sofferto, facendo però della sofferenza la sua forza per reagire. «Un paese che ha saputo trovare il suo rinascimento e la sua radice di comunità vissuta insieme» ha detto l’inviato del tg La7 Chiappaventi, sollecitato da Claudia Sartirani che ha condotto l’incontro.

Se è vero che «la cosa giusta da fare – ha sottolineato il direttore del TgLa7 Enrico Mentana, intervenuto in collegamento – è onorare tutti i caduti con un monumento», il libro fotografico da oggi in vendita in tutte le librerie su prenotazione e sui circuiti online, ne rappresenta un primo progetto. «Come siamo risorti come comunità dopo la seconda guerra mondiale – ha aggiunto Mentana – e si ricordavano quelli che erano caduti con monumenti, lapidi, anche ora l’arte e la cultura ci deve dare gli strumenti per ricordarli. Dobbiamo ricordare non la tragedia in sé, ma quanto silenziosamente siamo stati costretti a lasciar andar via i nostri cari. Recuperare l’essere gelosi della salute dei nostri anziani». E non a caso il ricavato del libro sarà interamente devoluto alla Rsa di Nembro, che nella pandemia ha perso quasi il 40 per cento dei suoi ospiti.

Una volontà, quella di ricordare, che Marco Quaranta ha fatto propria: «Dopo le prime settimane in cui eravamo blindati – ha detto – ho iniziato a uscire, a fare i primi scatti e ho pensato che era bello poter documentare e mostrare alle famiglie rimaste isolate in casa cosa stesse succedendo fuori. La sera postavo le foto sui social, ma non volevo che tutto finisse chiuso dentro un hard disk, così s’è pensato a un libro».

Memoria, ma anche consapevolezza del «tempo perso – ha detto senza remore Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto Mario Negri, pure collegato in diretta –. A gennaio, il 24, il Lancet descrive i focolai di questa malattia che somigliava alla Sars. Se noi avessimo dato retta a quanto era scritto su questo lavoro, ci saremmo dovuti chiedere: possiamo gestire il distanziamento? Abbiamo i dispositivi di protezione? Come possiamo gestire le scuole? In realtà era tutto già scritto 4 settimane prima del 23 febbraio. Quello che è successo è che gli scienziati non hanno preso seriamente le informazioni che venivano dalla Cina». La rincorsa dei medici di base è stata ricordata da Guido Marinoni, presidente dell’Ordine dei medici di Bergamo: «Non c’erano linee guida. I medici uscivano, portavano verosimilmente il contagio in giro e non c’erano mascherine. Su 600 medici di famiglia, 150 a Bergamo si sono ammalati e 6 sono morti».

«Un interrogativo che ci ha accompagnato e continua a farlo è: ne usciremo migliori? – ha sintetizzato il curato don Matteo Cella –. Credo che anche questo testo, questo documento ci aiuti. Poi dovremo vedere cosa vogliamo che sia la normalità che vogliamo vivere». La direzione arriva dalle parole del sindaco Claudio Cancelli: «Dobbiamo lavorare sulla memoria e sulla capacità di progettare il futuro che non può essere la riproposizione di come eravamo prima». Come si cambia, per non morire. Ma tanti, qui, non ci sono più.

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