Ferrara, storia della Spal. E di un tabù che l’Atalanta non infrange da 57 anni

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C he la Società polisportiva Ars et Labor, elegantemente sintetizzabile in Spal, sia un gran brutto cliente lo si è già capito negli ultimi due campionati. Al «Paolo Mazza» solo un punto in due partite, conquistato per giunta su rigore (grazie super Marten De Roon, la materia 11 metri è di quelle ostiche ad ogni classe atalantina) e giocando pure male. Entrambe le volte. La verità è che quando vai a Ferrara, gira e rigira, ti ritrovi davanti il tuo doppio. Magari non uguale uguale, per carità, perché la storia ha il suo peso – e le modalità di rinascita spallina previa fusione con la Giacomense sono da campane a martello per qualsivoglia tifoso atalantino doc – e i risultati sportivi pure, però… Però come si fa a non ritrovarsi quasi a casa in una città bellissima, orgogliosamente provinciale e dove non si dice «vado allo stadio» ma «vado alla Spal», perché il senso d’appartenenza non è acqua, e si mangia strepitosamente bene?