Bergamo e l’Atalanta, Napoli e il Napoli: «mille culure» tanto diversi, ma in fondo così simili. Lo scritto di Ombra

storia.

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R idere. Pensare. Emozionarsi sino alle lacrime, siano esse di disperazione o di gioia. Tre ingredienti fondamentali, che devono essere presenti ogni giorno affinché la vita possa considerarsi speciale. Perché, anche a costo di apparire eccessivi e superficiali, incapaci di riconoscere il confine tra equilibrio e follia, è solo assecondando i moti dell’animo che potremo guardare indietro, attorno e avanti a noi senza rimpianti. Emozionarsi significa sfidare l’ignoto senza timori o paure, con quella sfacciataggine incomprensibile che appartiene ai più grandi. Un’esuberanza arrogante, che alle orecchie lontane di chi non è in grado di affidarsi a essa suona come pericolosa. Qualcosa da denigrare, da osteggiare, da esorcizzare. Tracciare una linea emotiva che colleghi Bergamo e Napoli è quantomeno ostico. Esistono due modi di ridere, pensare ed emozionarsi così distanti come quello dell’orobico e del partenopeo? Un dialogo tra un sordo e un muto, dove il primo può solo ascoltare e il secondo può solo parlare, mediato da un cieco. Nonostante tutto, sforzandosi di considerare e storcere gli aspetti più malleabili del quotidiano, Bergamo e Napoli non sono poi così agli antipodi. Cos’è il calcio, se non la più infranta delle leggi non scritte? E allora l’Atalanta B.C. e il S.S. Napoli sono entrambe specchio della visceralità umana, abile a trovare sfogo libero e ingiustificato unicamente nell’atmosfera onirica dello stadio.