Caudano ha lasciato l’ospedale e pensa al titolo di un tema: «Essere Højlund». Poi, lo scrive solo lui (e lo leggete solo voi)

storia.

Lettura 3 min.

“S e dovessi svolgere un tema, io per titolo vorrei: «Essere Højlund»”. Pensa così, il professor Caudano, e lo pensa in un mattino freddo di gennaio, neppure lenito dal riscaldamento (autonomo, e dunque assennatamente votato al risparmio, almeno finché, a sera, la rinuncia non sembri eccessiva, nel bilancio di un uomo dotato di stipendio e privo di spese che non siano quelle per sé medesimo). Mattino di convalescenza, convalescenza di solitudine. Non solo quella preventivata, di un uomo che non ha più famiglia di origine né se n’è creata una sua; non solo quella messa in conto di chi ha pochissimi amici e, oltretutto, per non porli in allarme, neppure li ha informati del piccolo intoppo di salute; ma anche la solitudine inattesa di chi si era illuso, magari senza ammetterlo, che da scuola si sarebbero fatti vivi, avrebbero chiesto. Se non i colleghi, i superiori (anche soltanto per esprimergli gratitudine: in fondo, potrebbero immaginare che ha chiesto lui di essere operato durante le vacanze, in modo da ridurre al minimo le ripercussioni dell’intervento sulla didattica); se non i superiori, gli alunni (magari anche interessatamente, per ingraziarselo). Invece, nulla. Nulla neppure di fronte al prolungamento che il dottor Anchise ha imposto al convalescente e al suo addome che non smette di dolere. Nulla. Solo la fredda burocrazia dei tempi moderni: una mail all’indirizzo appositamente creato dalla segreteria (assenze@ e tutto il resto), un numero di protocollo ricevuto dal medico e da girare alla scuola, e fine.