Lecce-Atalanta 2-7, 1 marzo 2020: dove tutto cominciò, oppure finì. Il racconto di Ombra, oltre l’incubo Covid

storia.

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A lle nostre latitudini, uno dei sogni proibiti è quello di godere del mare ogni giorno dell’anno. Quel privilegio di, quando il tempo lo permette, andare a fare un tuffo appena finita la scuola o appena prima di tornare a casa dal lavoro, in momenti del calendario che considereremmo altrimenti paradossali se non avessimo una spiaggia a portata di mano. Della sabbia o degli scogli sui quali gettare alla bell’e meglio maglia, mocassini e cintura per gustare quel primo o quell’ultimo sprazzo di libertà. Il mare d’inverno, ma anche d’autunno o di primavera. Che cosa strana, surreale. Un sogno che prende forma, l’inconscio che si ribella alla convenzione. Prendi una domenica di inizio marzo a Lecce. Esiste qualcosa di più lontano e inafferrabile? Probabilmente sì, se sei orobico da generazioni e generazioni. Però è pur sempre domenica, quell’istante di congelamento e straniamento delle abitudini della settimana. Domenica, giorno del Signore e del pallone. Giorno che unisce la festa sacra al profanissimo giuoco. Dal letto di camera tua, l’invidia per quelle sciarpe e giacche nerazzurre al Via del Mare ribolle ancora più impetuosamente. Te le immagini arrivare allo stadio col palato ancora patinato da un crudo di mare o dalla puccia, possibilmente con una scorta di pasticciotti negli zaini da riportare a casa per parenti e amici. Il cielo sereno aumenta i rimpianti: quel tuffo nell’Adriatico non dovrebbe essere stata un’iperbole per quei 200 tifosi ospiti. Anzi no. Non sono 200. Sono 80. Perché questa mite domenica di inizio marzo a Lecce è più surreale di tutte le altre.