L’Olimpico si racconta (con la fantasia) «Niente scherzi, sarò campo neutro»

L’INTERVISTA IMPOSSIBILE

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C he meraviglia di silenzio... Posso farle qualche domanda, Stadio Olimpico?

«Certo! Approfitti di questa pausa fra Roma-Juventus e la finale di Coppa Italia, due eventi ricchi di spettatori, di frastuono, di colori... Poi, lunedì, ci sarà Lazio - Bologna, più tranquilla e lontanissima».

Sì, da qui, da oggi, sembra appartenere a un altro ordine di eventi...

«Già... Ma lei non ha accento romano!».

No, sono di Bergamo...

«Ah! Viene da avversario, se non da nemico...».

Non si preoccupi: ho ragioni personali per esserle affezionato: mi è carissimo il ricordo di quando attendevo e poi vedevo «Novantesimo minuto», alla domenica in televisione. Altra epoca e altro calcio, ovvio. Ma la sigla, su musichetta indimenticabile, proponeva le immagini acceleratissime proprio di lei, dell’Olimpico di Roma, che si riempiva... Un omino dopo l’altro a comporre la folla.

«Beh, grazie, la cosa un poco mi intenerisce, ma devo anche dire che lei mi vuole bene per una scena ordinaria, mille volte ripetuta e destinata a ripetersi, mentre la mia storia è una storia importante, anche se nota solo in parte...

Sì, amavo proprio l’ordinarietà di quella scena. Ero un ragazzino incline alla fantasia: pensavo ai papà che venivano con i loro bambini a vedere la partita, a due fidanzati felici, a un vecchio che aveva la Roma o la Lazio come consolazione dei suoi giorni... Ma, se vuole dirmi della sua storia, ascolto volentieri.