Il triatleta Sarzilla: «Vaccino anti Covid, pensate agli altri prima che a voi stessi»

«Voglio essere ottimista e pensare che il peggio sia alle spalle: a patto che chi non si è vaccinato lo faccia».

«Il Covid-19 mi ha tolto la possibilità di giocarmi le chance olimpiche, la normalità mi ha portato al primo posto nel ranking mondiale tra gli italiani. Pratico una disciplina individuale, ma vaccinarsi è un dovere morale nei confronti degli altri oltre che di sé stessi». Parola di Michele Sarzilla, professione triatleta, l’uomo di ferro dello sport bergamasco. Il 2021 è stato l’anno più bello della sua carriera (due flash su tutti il titolo italiano su distanza sprint di Cervia e il quarto posto in Coppa del Mondo in Corea del Sud), premio alla perseveranza con cui aveva vissuto un 2020 in cui tutto il mondo, incluso il suo, si era fermato.

L’avevamo lasciata a costruirsi una piscina in casa per tenersi in forma di bracciata in bracciata. Ricorda?

«Come no, insieme all’infinità di chilometri percorsi sui rulli tra bicicletta e corsa. Di quelli non ho tenuto conto, mentre quelli di un anno standard li ho annotati sul pc: percorro 1000 km a nuoto, 17mila in bici, 3 mila di corsa. Negli ultimi dodici mesi ho fatto attività 340 giorni su 365».

Anche il suo mondo, quello del triathlon, si è rimesso in moto.

«Seppur con fatica e molti paletti. Un esempio su tutti: nonostante la mia doppia vaccinazione, nel corso della mia stagione internazionale in giro per l’Europa e per il mondo, credo di essermi sottoposto a oltre una ventina di tamponi: fastidioso ma doveroso e legittimo. Senza parlare di ciò che succede in gara, con numeri contingentati, partenze scaglionate e divieto di scie, ma l’importante è aver ritrovato agonismo e sorrisi».

Viaggiando molto come ha fatto lei, che mondo ha (ri)trovato?

«Molto diverso da nazione a nazione. In questo momento, è come se avessimo fatto un salto all’indietro di vent’anni, anche per la possibilità di fare delle esperienze. Penso a mia madre, che sino a qualche anno fa prendeva tranquillamente aerei per raggiungermi in Spagna, dove vivevo: ora per lei è un problema, tutto si è complicato da un punto di vista tecnologico, diciamo che è un’occasione per tornare a scoprire le bellezze dell’Italia».

Dove uno dei temi di discussione è quello della vaccinazione. Lei che ne pensa?

«Secondo me dovrebbe divenire un obbligo come lo sarà in Austria, su certi temi non dovrebbe esserci spazio per l’egoismo. Il Covid-19 è una novità, i vaccini no, e la storia insegna che a lungo termine hanno sempre portato dei benefici: seguiamo quello che ci indica la scienza, anche se può capitare che in certi momenti, di fronte a problemi nuovi, si proceda per via empirica».

Lei è vaccinato. Non ha avuto timori o incertezze?

«Solo relativamente alla data, perché ho scelto due settimane di scarico dagli allenamenti onde evitare eventuali complicazioni, che fortunatamente non ci sono state. In prospettiva della terza dose, oltre che alla difesa dei più fragili, penso anche alla difesa di me stesso: conosco gente che complice la malattia ha avuto compromissioni polmonari del 30-40%. Se capitasse a un atleta di alto livello, significa avere chiuso la carriera».

La pensa così tutto il mondo del triathlon?

«Per la gente che conosco io sì, perché tendenzialmente lo sport ti forma a obbedire agli obblighi che arrivano dall’alto, a essere diligente e a pensare in primis come comunità. Ne va dell’avanzamento del movimento e della società in generale: il risultato è al tempo stesso individuale e globale».

Nel suo caso, il suo corpo è anche la sua industria .

«Non essendo in un corpo sportivo militare, e non potendoci entrare per limiti d’età mi guadagno da vivere grazie alla Dds-7Mp, il mio team d’appartenenza, e agli ingaggi e ai montepremi guadagnati nelle gare: ho 33 anni, ho deciso di fare così dal 2018, da quando cioè ho deciso di fare del triathlon la mia professione a tutti gli effetti».

Lo scorso anno, la Pandemia, le ha fatto perdere una possibile convocazione per Tokyo.

«Non avendo ranking le chance sarebbero state poche, ma se ci fosse stato il tempo materiale, da marzo in avanti, tutto sarebbe potuto succedere. Certamente, in un periodo sulla carta teoricamente favorevole (nel 2019 fece faville ndr), ho perso medaglie, trofei e qualche introito. Per forma mentis sono uno che prova sempre a trasformare una difficoltà in un’opportunità e lavorando sodo mi sono fatto trovare pronto quando s’è ripresentata l’opportunità, resa possibile da un ritorno a una normalità che ora dobbiamo difendere. Quando sei abituato alla salita e trovi un po’ di pianura la fatica la senti di meno: a volte è bello fermarsi un attimo e rivedere il percorso che si è fatto».

A proposito, l’annata appena chiusa, per lei, è stata da incorniciare.

«Ho vinto il titolo italiano sprint di Cervia, mettendo dietro gente che era stata all’Olimpiade. In chiusura c’è stato il quarto posto in Coppa del Mondo in Corea, il mio miglior piazzamento di sempre nella manifestazione. Al mio primo Europeo ho chiuso all’ottavo posto, poi ci sono state la piazza d’onore a Andorra all’esordio su distanza 70.3 e in Coppa Europa a Caorle, e i terzi posti nel Grand Prix francese di Quiberon e quello di Tiszaujvaros, in Ungheria. Unite a sei vittorie a inizio stagione su distanze variabili dallo sprint al mezzo Iron Man, direi che non mi posso lamentare, anche se sono un perfezionista».

Per la prossima Olimpiade, quella di Parigi ’24, c’è da aspettare meno del previsto.

«Sono salito al 51° posto del ranking internazionale, sono il primo italiano, un orgoglio per uno che sino a due anni fa doveva pagarsi le trasferte. Diciamo che è un sogno che si sta trasformando in un obiettivo concreto. Di mezzo ci sono 12 gare qualificanti (6 nel 2022 e altrettante nel 2023) in cui tirare fuori il meglio che ho e crescere ancora. La federazione deve ancora ufficializzare il nuovo direttore tecnico, ma credo di avere via libera per tutte le gare che contano nella prossima stagione».

Lei fa la spola tra Seriate, cittadina di cui è originario e Milano, dove si allena.

«A Bergamo torno anche per trovare mio padre, che attualmente è ricoverato alla fondazione “Carisma” del Gleno: quello della vaccinazione è un problema che riguarda anche lui».

Non ha paura che il mondo si rifermi di nuovo?

«La nostra stagione ricomincia a marzo, in questo momento voglio essere ottimista e pensare che il peggio sia alle spalle. Ovviamente a patto che chi ancora non si è vaccinato lo faccia, e non solo in Italia, dove sono tra quelli in attesa della terza dose».

Un messaggio per tutti, sportivi e non solo.

«Pensate a livello comunitario prima che a voi stessi, ora che abbiamo ritrovato la normalità perderla di nuovo sarebbe un peccato, anche a livello sportivo».

Parola dell’uomo di ferro dello sport di casa nostra.

Leggi le ragioni per dire sì di Alberto Mantovani, presidente della Fondazione Humanitas per la Ricerca.

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