Comuni con i minori contagi accertati
Bergamasca, in 19 sono meno di cinque

Sono quasi tutti nell’Alta Val Brembana. «Qui già autoisolati, ma c’è anche poco tracciamento»

Piccoli, e abbarbicati in alta valle. Isolati, ancor prima di qualsiasi Dpcm. Con una densità di popolazione così modesta da far invidia al resto della provincia: per non dire degli spazi, vasti quanto praterie. Sono 19 i Comuni bergamaschi che, da inizio epidemia, hanno avuto meno di cinque casi accertati (attenzione, solo ed esclusivamente accertati) di Covid-19: e a voler vedere cosa ha reso questi territori vere e proprie zone franche, qualche elemento in comune lo si trova. Prima, l’elenco: parliamo di Adrara San Rocco, Averara, Blello, Brumano, Carona, Cassiglio, Cornalba, Foppolo, Fuipiano, Mezzoldo, Moio de Calvi, Oltressenda, Ornica, Parzanica, Piazzolo, Roncobello, Valleve, Valtorta, Vedeseta.

Si diceva degli elementi in comune. A balzare all’occhio, subito, è la dimensione dei municipi: ad eccezione di Adrara San Rocco, che ha poco più di 800 abitanti, tutti gli altri comuni con contagi così ridotti hanno meno di 500 residenti. Poche anime a circolare in paese dunque, con distanziamento e isolamento sociale che – qui – non c’è nemmeno bisogno di imporlo.

Altro fil rouge che emerge all’istante è la mappa: quasi tutti i Comuni risparmiati dal virus sono collocati nella zona dell’Alta Val Brembana, o in ogni caso in territori montani.

E poi, in comune ci sono spazi vastissimi, opportunità di mobilità tendenzialmente scarse, attività ridotte all’osso, e uno stile di vita legato all’età media della popolazione – decisamente alta – che non favorisce particolari occasioni di assembramento. Ammesso di trovarle, queste occasioni. «Sono tutti territori in cui il distanziamento è nei fatti, nella routine quotidiana – ragiona Alberto Mazzoleni, bergamasco, vicepresidente di Uncem (Unione nazionale comuni comunità enti montani) –. Parliamo di comunità a cui, tendenzialmente, l’isolamento non va nemmeno imposto. Si vivono poco gli spazi chiusi, si lavora molto all’aria aperta, e difficilmente vengono proposte opportunità di assembramento. C’è però da dire un’altra cosa, con molta onestà: in queste aree grandi campagne di tracciamento, penso alle indagini sierologiche, non sono mai state fatte. Significa che, se anche ci sono state persone contagiate asintomatiche, non sono state stanate».

Sulla mancanza di tracciamento è d’accordo anche Jonathan Lobati, presidente della Comunità montana della Val Brembana: «Ma credo che, al di là dei casi sommersi, ci siano ragioni ben precise per cui in queste aree il virus abbia colpito molto poco. Qui le attività sono ridotte: bar, ristoranti, locali, negozi si contano sulle dita di una mano, e con loro le occasioni di assembramento. Parliamo di territori anti-movida per eccellenza: qui i turisti, soprattutto proprietari di seconde case, vengono per starsene isolati e all’aria aperta, non certo chiusi e accalcati in qualche locale. In più, l’età media è molto alta. C’è una crisi demografica da pestilenza, e per una volta questo trend ha giocato a favore: oltre a fare casa-lavoro, non è che la popolazione faccia molto altro».

Fra i Comuni «resistenti» al virus c’è però anche Foppolo, fra le mete invernali bergamasche più battute soprattutto dagli amanti degli sci. «Noi il 7 marzo avevamo gli impianti aperti, pieni di gente – ricorda il sindaco Gloria Carletti -: e solo a tarda sera il governo ha deciso di chiudere le piste. Quindi, in tutta onestà, fatico a capire come mai l’andirivieni di sciatori che s’è registrato prima di quel 7 marzo non abbia prodotto contagi fra i maestri di sci, gli impiantisti, i ristoratori. Sta di fatto che da inizio epidemia ad oggi noi abbiamo registrato un solo caso ufficiale». Repetita iuvant: di soli casi accertati (con tamponi positivi) si parla: «Io a maggio ho eseguito il test sierologico e sono risultata positiva agli anticorpi, con successivo tampone negativo – aggiunge il sindaco, che è anche vicepresidente del Collegio regionale dei maestri di sci -, eppure sfuggo alle statistiche. Come me, ci saranno sicuramente altri contagi sommersi. In ogni caso, noi siamo pronti a ripartire in sicurezza: la conferenza Stato Regioni sta vagliando un protocollo per riaprire gli impianti sciistici, e siamo sicuri di poter ricominciare a lavorare con estrema sicurezza. Il nostro territorio ha bisogno di ripartire, e lo vuol fare consapevole che la montagna è luogo che ben si sposa con la richiesta di distanziamento sociale».

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