Il sogno di una famiglia accogliente si realizza con la «Casa del melograno»

La storia di Maura Argieri: i figli, l’adozione, l’affido. E adesso il progetto di uno spazio aperto per bambini e ragazzi in difficoltà.

«Le cose che si amano - scrive Catullo - non si possiedono mai completamente. Semplicemente si custodiscono». Vale ancor di più quando si parla delle persone che si amano, soprattutto dei figli. Sono parole che ritornano spesso nella vita di Maura Argieri e suo marito Massimiliano, che a Bolgare stanno realizzando insieme un sogno: aprire la «Casa del melograno». Un luogo speciale di accoglienza, dove vivere con i loro cinque figli - quattro naturali e una adottata, una bimba con la sindrome di Down - e quelli in affido che verranno.

Custodire è una delle conseguenze più belle dell’amore, contiene l’idea di fare spazio, prendersi cura, gesti che non si possono mai dare per scontati, neanche in famiglia. «Quando ci siamo sposati, ventisei anni fa, - confessa Maura - abbiamo iniziato a parlare di avere dei figli. Mio marito mi ha detto che se non fossero arrivati naturalmente avremmo potuto adottarli. Istintivamente io ho risposto di no».

Poco dopo il matrimonio è nato il primo figlio, Matteo, che ora ha 25 anni. Per un po’ Maura e Massimiliano hanno accantonato il pensiero di un’adozione. Dopo Matteo è arrivato Luca, 22 anni, poi Andrea, 19. «Li abbiamo cercati e voluti - sottolinea Maura -. A quel punto però ho pensato di fermarmi. Tre figli piccoli richiedevano molto impegno. Allora lavoravo in una scuola dell’infanzia, ricordo che la sera ero stanchissima».

Il tempo trascorreva velocemente, in una routine serrata di pappe, pannolini, corse continue. Dopo qualche anno, però, Maura ci ha ripensato: «Ho cambiato punto di vista, pensando più alla gioia che ci procurava vivere in una famiglia numerosa che alla fatica. Mi sono detta che se fosse arrivato un altro figlio l’avrei accolto con gioia». A sostenerla è stata la fede, con la convinzione di essere parte di un disegno più grande.

Due anni dopo Maura è rimasta di nuovo incinta, ed è nato Riccardo, che ora ha 12 anni: «In quel periodo ho capito che cosa volesse dire davvero accogliere. È stata una gravidanza diversa dalle altre. A volte mi accarezzavo il pancione pensando a quel bimbo che stava arrivando, e nella mia mente si presentava con insistenza la possibilità che la nostra famiglia diventasse casa anche per altri fragili e soli che ne avevano bisogno».

In quel periodo hanno traslocato nella Bergamasca: «Mio marito lavorava a Zingonia come responsabile di produzione in un’azienda tessile, e per un certo periodo ha continuato a fare il pendolare, ma non poteva continuare». Nel frattempo, nato il quarto figlio, Maura ha lasciato il lavoro per dedicarsi alla famiglia a tempo pieno.

«Quando siamo arrivati a Bolgare, Riccardo aveva circa un anno. Conoscevamo poche persone ma abbiamo ricevuto un’accoglienza calorosa in paese e in parrocchia. Alcuni amici ci hanno fatto conoscere il gruppo locale dell’Associazione Famiglie per l’accoglienza, di cui avevamo già sentito parlare. Così il desiderio di aprirci a un’esperienza di adozione o affido si è riaffacciato e abbiamo iniziato a coltivarlo ascoltando le esperienze degli altri».

Il primo contatto

L’associazione ha una newsletter, e nelle mail si trovano spesso richieste di disponibilità alle famiglie: «Abbiamo notato un messaggio che riguardava un bimbo con la sindrome di Down, e abbiamo provato ad approfondire. Abbiamo partecipato a un incontro al Tribunale per i minorenni in cui ci hanno posto moltissime domande, passando al setaccio la nostra famiglia. Poi siamo tornati a casa e non ci hanno più ricontattato. Abbiamo scoperto per caso, tempo dopo, che il piccolo era stato accolto da un’altra famiglia. È stato comunque un passaggio importante, ci ha dato maggiore consapevolezza del nostro percorso».

Sono trascorsi altri due anni, Maura e Massimiliano continuavano a tenere il loro desiderio nel cassetto. Poi un giorno, una sorpresa: «È arrivata una telefonata dal Tribunale per i minorenni di Milano. Quando ho visto il numero mi è saltato il cuore in gola. Ci hanno chiesto se eravamo ancora disponibili per un’adozione. Ho detto subito di sì senza pensarci, abbiamo preso appuntamento per un colloquio. Massimiliano è stato più prudente: ha detto che avremmo ascoltato con attenzione e poi avremmo deciso».

L’incontro è stato diverso dal precedente: «Ci siamo sentiti a nostro agio, abbiamo parlato a lungo di noi e della nostra famiglia. Ci hanno detto che l’adozione riguardava un bambino con sindrome di Down. Alla fine ci hanno chiesto se volevamo firmare i documenti, noi ci siamo guardati e abbiamo capito che era arrivato il momento giusto».

Così è arrivata Giorgia: «Quando ci hanno convocato aveva due mesi, che aveva trascorso in ospedale in attesa di una decisione dei giudici. Poi è rimasta per altri tre in affido temporaneo a una famiglia, mentre noi completavamo l’iter di adozione. Quando siamo andati a trovarla per la prima volta, in punta di piedi vicino al suo lettino, lei ha aperto gli occhi, ha guardato mio marito e gli ha rivolto un gigantesco sorriso. Ci siamo subito innamorati di lei, sentendo una connessione forte: da quel momento è stata nostra figlia, e ci è sembrato che anche lei ci riconoscesse subito come mamma e papà».

Nella loro casa gli equilibri si sono riassestati: «I nostri figli si sono fidati di noi. Li abbiamo coinvolti fin dall’inizio, offrendogli buone motivazioni. A tutti abbiamo spiegato che cosa fosse la sindrome di Down e quali difficoltà potesse comportare, chiarendo subito che nel loro ruolo di fratelli maggiori avrebbero dovuto a volte prendersi cura della nuova sorellina. Il loro assenso è stato importante per noi, ci ha convinto di essere sulla strada giusta».

Una carica di energia positiva

Giorgia, che oggi ha 9 anni, ha portato una carica di luce e di energia positiva in casa: «Una sera Luca, il nostro secondo figlio, era molto innervosito, perché aveva ricevuto un brutto voto. Mio marito ha reagito sgridandolo perché non l’aveva saputo da lui, ma direttamente dal professore. Giorgia era seduta a capotavola di fronte al fratello nel suo seggiolone e quando Luca l’ha guardata lei gli ha rivolto un grande sorriso. Allora lui si è messo a ridere, si è chiesto perché, in fondo, doveva essere così arrabbiato. Così è cambiato l’umore di tutta la famiglia. Giorgia regala gioia con la sua natura semplice, con la sua allegria spontanea. Una delle sue prime parole è stata grazie».

L’adozione è stata il primo passo, perché Maura e Massimiliano hanno mantenuto viva la loro inclinazione all’ospitalità e all’accoglienza: «Sappiamo che c’è tanto bisogno di famiglie che si aprano all’accoglienza per rispondere a situazioni difficili». Dopo un primo esperimento informale di ospitalità con un adolescente ribelle, che li aveva spaventati un po’, si sono trovati di nuovo di fronte a una scelta difficile: «Ci hanno proposto di accogliere un ragazzo di sedici anni e mezzo, che aveva bisogno di una mamma e di un papà, perché faticava ad adattarsi alla vita in una comunità educativa. Eravamo incerti ma alla fine abbiamo accettato, ed è stata l’esperienza che ci ha convinto di quanto possa essere importante, intenso, bello un affido. Questo ragazzo, che chiameremo Alessandro, quando è arrivato da noi continuava a dirci quanto fosse grato di aver trovato una famiglia disposta ad accoglierlo. La domenica successiva gli abbiamo spiegato che saremmo andati a messa, come facevamo sempre. Lui ha risposto che ci avrebbe accompagnato, anche solo per gratitudine. Da allora è sempre venuto. È rimasto con noi fino ai diciotto anni, poi ha avuto la possibilità di tornare dalla madre. Ci ha chiesto se in caso di difficoltà sarebbe potuto tornare da noi, gli abbiamo detto che la nostra porta per lui sarebbe rimasta sempre aperta. Poi è tornato spesso a trovarci».

«Devi dirmi dov’è la tua casa dei fiori/ È da sempre che cerco la casa dove posso tornare/ Devi dirmi dov’è, perché voglio venire anch’io/ Fammi stare con te». Sono i versi de «La canzone del melograno» di Claudio Chieffo, una delle preferite a casa di Maura, che ha ispirato il nome della loro nuova casa: «È nato in noi il desiderio di aprire uno spazio che ci permetta di attuare più accoglienze, perché abbiamo compreso quanto sia necessario un ambiente familiare per tanti bambini e ragazzi in difficoltà e quanto bene può fare nel loro percorso di vita. Ci siamo messi in contatto con l’associazione “Dimore e accoglienza” che si occupa in modo specifico di affido all’interno dell’associazione Famiglie per l’accoglienza. Abbiamo cercato a lungo la casa giusta. Abbiamo trovato infine la vecchia canonica del Santuario della Madonna dei Campi di Bolgare, da tempo in disuso, l’abbiamo presa in affitto e abbiamo avviato i lavori di ristrutturazione, già a buon punto. Abbiamo creato un’associazione e il nostro figlio maggiore, che si sta specializzando in informatica musicale, ha creato il nostro sito internet casadelmelograno.it». Ora ci sono tante piccole iniziative in moto per reperire le risorse necessarie, che all’inizio di un’avventura non bastano mai: «Non è un’impresa che vogliamo fare ad ogni costo, stiamo rispondendo a una nostra vocazione. Siamo persone semplici, ci stupisce e ci rende felici sentirci accompagnati dalla generosità delle persone».

Nel frattempo Maura e Massimiliano hanno accolto in famiglia un altro ragazzo in affido, di dodici anni: «Ci sono momenti impegnativi, l’importante è non essere soli, ci aiuta molto far parte di una rete di famiglie. Non ci sentiamo speciali, non siamo supereroi. Mi hanno chiesto tante volte se come donna mi sento realizzata, e in effetti mi trovo proprio dove desidero essere, e sono felice così. Ho ricevuto molto più di quanto ho dato. Ogni ragazzo che entra in casa nostra lascia un pezzo di sé nella nostra vita».

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