Pronto soccorso bergamaschi
Il Covid taglia gli accessi di un terzo

Da gennaio a novembre nelle 11 strutture bergamasche, utenti diminuiti del 34,56%. Zucchi: «Durante l’emergenza crollati i codici verdi»

L’uragano Covid ha frenato la corsa dei bergamaschi verso i pronto soccorso degli ospedali della provincia. Da gennaio a novembre gli accessi sono calati complessivamente del 34,56%, poco più di un terzo in meno rispetto ai primi 11 mesi del 2019. La paura del contagio, soprattutto nei periodi di picco della pandemia, l’impossibilità delle strutture sanitarie di rispondere, in certi periodi, a tutte le richieste, e forse anche una maggiore consapevolezza da parte della popolazione nell’avvicinarsi ai servizi di emergenza, hanno di fatto cancellato un accesso in pronto soccorso su tre in meno di un anno.

I numeri

I numeri, diramati dall’Agenzia territoriale della salute di Bergamo, parlano chiaro: a fronte dei 369.314 accessi da gennaio a novembre 2019 negli undici pronto soccorso della Bergamasca, quest’anno ce ne sono stati soltanto 241.706. Le due strutture che hanno registrato un calo minore sono quelle cittadine dell’ospedale Papa Giovanni XXIII (-27,5%) e di Humanitas Gavazzeni (-27,83%), mentre è il pronto soccorso di Alzano Lombardo, dove a marzo è scoppiato il primo focolaio di Covid, quello dove invece il calo è più significativo (-54,24%).

«Il pronto soccorso, soprattutto durante la fase critica di questa primavera, era diventato un po’ la porta d’accesso dei pazienti Covid con sintomatologie gravi – spiega Alberto Zucchi, direttore del servizio Epidemiologico dell’Ats di Bergamo –. Era in pratica un reparto aggiuntivo dell’ospedale dedicato ai pazienti affetti da coronavirus e chi non aveva problemi legati a una gravità eccezionale o non era in pericolo di vita, tendeva a non andare in pronto soccorso». Da qui il calo degli accessi, che però non si è tradotto con un minor carico di lavoro per i medici dei reparti d’urgenza, anzi: «Non sapendo come gestire dal punto di vista clinico questa ondata di pazienti – puntualizza Zucchi –, molti di loro stazionavano in pronto soccorso anche per tanto tempo. Il numero degli accessi non poteva salire perché di fatto le strutture, trasformate in reparti Covid, erano sature».

E che quest’anno la propensione a rivolgersi al pronto soccorso sia andata di pari passo con l’andamento della curva epidemica, è un’evidenza che appare chiara ancora dai numeri: nel 2019 il ritmo degli accessi è rimasto pressoché costante tutto l’anno (luglio fu il mese più «affollato», con 35.586 accessi, mentre settembre quello più scarico, con 30.963); nel 2020 si va invece dagli 11.584 accessi di aprile, che insieme a marzo è stato il mese più drammatico per la nostra provincia, ai 34.535 di gennaio, guarda caso l’unico mese «pre-Covid» di quest’anno e l’unico in cui i valori assoluti coincidono, a grandi linee, con quelli del 2019, quando nello stesso periodo gli accessi furono 35.036.

Dopo la mazzata della prima ondata, in estate le richieste d’intervento dei pronto soccorso sono tornate ad aumentare, senza però mai raggiungere i livelli dell’anno scorso (con un picco di 25.426 accessi nel mese di agosto, a fronte dei 33.256 del 2019), salvo poi diminuire di nuovo in maniera piuttosto decisa tra ottobre e novembre. Nelle quattro settimane di picco della seconda ondata, vale a dire tra il 21 ottobre e il 16 novembre, il calo complessivo degli accessi in pronto soccorso è stato del 46% rispetto al 2019; una differenza enorme, lontana però dal picco di aprile, dove rispetto a un anno fa si è perso il 65% delle richieste, pari a quasi due accessi su tre. «È interessante notare – dice ancora Alberto Zucchi – come da marzo i codici rossi si alzino durante l’emergenza e si abbassino, nel contempo, in misura rilevantissima i codici verdi, vale a dire tutta quell’area di accessi che nel 95% dei casi non avrebbero neppure bisogno del pronto soccorso».

Paura o più responsabilità?

Paura del contagio o una maggiore responsabilità da parte della popolazione? Probabilmente entrambi, sta di fatto che – sempre nelle quattro settimane tra ottobre e novembre – la percentuale di codici verdi registrati dagli 11 pronto soccorso della provincia sono stati il 67%, con un calo del 7% rispetto allo stesso periodo del 2019, mentre sono aumentati i codici gialli (dal 21 al 27%) e quelli rossi, i più gravi (dal 2 al 3%). I codici bianchi, quelli meno gravi in assoluto, sono passati invece dal 4% al 3%. Una tendenza che si era registrata anche nella prima fase della pandemia. «In primavera – ricorda Zucchi – il numero degli accessi tornò a salire verso metà maggio, periodo in cui si stabilizzarono anche i codici rossi e gialli, in concomitanza con la fase di decremento della pandemia. Inoltre, la gestione dei pazienti Covid si stava stabilizzando sia a livello domiciliare che all’interno dei reparti. E ancora oggi, oltre all’aspetto emotivo, c’è anche il fatto che i medici di base hanno ormai imparato a gestire molto meglio i pazienti».

Col plateau su gli accessi

Finita la fase critica anche della seconda ondata, gli accessi ai pronto soccorso sono tornati pian piano a risalire nella seconda metà del mese scorso e nei primi giorni di dicembre. «Tra il 16 e il 22 novembre e poi fino al 29 – conclude Zucchi – abbiamo raggiunto il plateau ed è iniziata la discesa dei contagi. A questo punto l’indice di affollamento è tornato a salire, come se la gente avesse colto il fatto che la situazione si stesse tranquillizzando. Sono tornati a presentarsi casi meno gravi, anche se osserviamo comunque un livello di appropriatezza più ele

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